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dietro casa
di là
[se ci va male moriamo]



Quando si chiude la scuola, per me e Croce comincia un tempo dilatato e irreale, come la calla che scende sulle cose e ingrassa il ferro dei binari che costeggiano il mare.
l paese, con i suoi dintorni, diventa territorio di conquiste e scoperte. Ci spingiamo in bici fino al Colle della Vecchia, dove accanto alla casa disabitata c'è la cisterna comunale per la raccolta dell'acqua piovana e il gracidio delle ranocchie spesso si sente fino al travocco.

Cerchiamo di beccarle con i sassi. Aldo dice che possiamo farci un bel gruzzoletto se le rivendiamo ai ristoranti cinesi della città. Un giorno di qualche estate prima mi aveva proposto di aprire un allevamento di ranocchie costruendo una piscina artificiale sotto il pontile del travocco.
Croce a volte mi racconta che quando saremo grandi, come Michele e Bisanzio, dovremo combattere contro i cinesi della città vicina, per il controllo dei traffici di ranocchie della cisterna.
“Se ci va male moriamo” amava ripetere Aldo in quei giorni.
Era inevitabile. Aldo ed io saremo diventati ricchi e conosciuti da tutti, proprio come lo era Mimì Ametrano. Pure di più.
Quando mio padre si accorse che avevamo quasi disseppellito i pali di legno per scavare l'acquitrinio, mi prese per le orecchie ed io non uscii di casa per due settimane. Il mare e l'estate lì fuori divennero un mondo bianco, giallo e blu i cui rumori mi arrivavano attutiti dal cortile di casa.
Un'altra volta toccò alle lucertole, poi alle formiche. Alle une tagliavamo la code, le altre bruciavano come peccatrici sotto il raggio silenzioso delle nostre lenti di ingrandimento.

Oltre la cisterna non andavamo mai.

“C'è il cane di Calisto di là a far la guardia ai porci” ripete Croce ogni volta che siamo davanti alla rete metallica che separa la cisterna dai terreni di Calisto “È un incrocio tra un pastore abruzzese, un lupo e una volpe!”
“Seee....E che hanno fatto un'orgia?!” esclama sempre mio fratello Michele quando lo sente raccontare questa storia.
“Ha la rogna” dice Bisanzio.
Ha anche un occhio guercio e la pelle tirata lungo le gengive in cui si avvitano pochi aguzzi denti gialli. Calisto non gli ha neanche dato un nome: si rivolge a lui con mugugni e bestemmie e il cane capisce.
Può capitare, a volte, che l'animale arrivi fino alle prime case del paese per razziare le ciotole nei cortili. Te ne accorgi perché la mamma di Papponetti si mette a urlare come un'ossessa dal balcone contro quel demonio, cosicché dal dirupo più a sud del paese rimbomba per i colli sottostanti il grido della donna che ripete
“'Sgrazia'! 'Sgrazia'!”

Tra la cisterna e il casolare dei porci c'è una radura di erbacce e fogliame indefinito, poi un campo di granturco.
Se ci avventurassimo di là, attraverso le falle della recinzione rischieremmo di incrociare la bestia e la cosa migliore che potrebbe succedere sarebbe sentire una bestemmia di Calisto e vedere il cane avvicinarsi guaiendo al padrone, l'unico di cui ha paura.
“Se ci va male moriamo”

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