Se Lester dovesse spiegare a zia Clotilde, baffuta e arzilla ottantenne, cosa sia un Social Network e cosa ci facciano i suoi nipotini trentenni tutto il giorno davanti a quella cosa diabolica che sembra un televisore dopo una cura dimagrante, potrebbe dirle che è un posto virtuale in cui la gente si incontra e si posta informazioni personali, condivide file, video, musica, link eccetera eccetera.
Ma sta sbagliando: si accorge che ha già usato troppi termini che la zietta non può conoscere e così per evitare di dover ricorrere alla spiegazione della spiegazione, pensa che la traduzione di Facebook sia più che sufficiente: letteralmente è un “libro di facce”.
È così che lo avevano pensato 4 anni fa i suoi fondatori, un gruppo di studenti di Harvard capitanati da Mark Zuckerberg: un grande album di famiglia per mettere in contatto gli appartenenti ad una qualche rete sociale e quindi inevitabilmente estendibile a tutto il pianeta (ad oggi, si parla di più di 100 milioni di utenti).
La cosa inquietante di questo giochino è che solo standoci dentro ti rendi conto di quanto tutti siano nudi e al tempo stesso imbacuccati come su un palcoscenico: c'è gente che comunica a tutti i propri sentimenti, l'umore giornaliero o la più semplice e banale azione quotidiana. Quando accedi al network hai un resoconto aggiornato di tutto quello che hanno fatto gli utenti mentre tu eri disconnesso e così apprendi che Tizio ha fame, che Caio è stanco, che Sempronio tra cinque minuti esce di casa e si va a fare una birra con Mimì che nel frattempo fa sapere a tutti di essere fidanzata con Cocò...
Su Facebook pullulano i gruppi e i fans club: c'è quello di chi vorrebbe “donare un neurone a Flavia Vento” o “Colpire il gattino Virgola (quello delle suonerie dei cellulari) con una mazza da golf”!
Il “privato” di una stanza, di un computer, di una connessione diventa di colpo desiderio di ipercomunicare, soprattutto il superfluo, come stendere i panni sporchi fuori casa o far sapere a centinaia di persone (a reti di reti) che “Proctolyn è il tuo migliore amico”.
Mentre zia Clotilde porta in tavola la teglia di melanzane, Lester pensa a suo cugino Lucas, dall'altra parte dell'oceano...Uno di cui non ricordava neanche la faccia. Pensa che comunicare è un pranzo in pigiama con l'alito cattivo e la testa sconquassata dai resti di un'altra serata sbagliata.
Il bello è che domani ci sveglieremo ed eviteremo di salutare il vicino di pianerottolo e il portiere. Resteremo ore a chattare con una tipa che magari ci starebbe pure, se solo riuscisse a incrociare i nostri occhi da qualche parte, magari anche al muretto sotto casa, offline.
“Lascia perdere quel coso!” ripete la vecchia mentre gli serve una razione che sfamerebbe un campo profughi “O resterai senza amici!”
Lester sorride e ingurgita.
I suoi amici, ormai, sono tutti là, dentro quel coso.