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a guardarla da lì...

mah A guardarla da lì non sembrava neanche una città.
Forse un’accozzaglia indistinta di antenne grigio cemento mattoni cortili cancelli automatici boutiques cicchespente cartacce rottami alluminio plexiglass strombazzare clacson voci.
A guardarla da lì. Come ingabbiata tra le linee asimmetriche dei pescherecci, infilzata certo dai fili tesi - linee a inseguirsi senza un apparente motivo.
Doveva essere un bel po’ ubriaco l’architetto che l’ha progettata.
Ubriaco e per di più neanche tanto estroverso, direi.
Me lo immagino chino sul suo tavolo da lavoro. La mano instabile che s’appoggia alla squadra, la matita che parte violando il foglio bianco con una lunga retta - quasi una ferita, direi, tra il mare e le colline.
Poi una seconda linea, parallela alla prima. E poi una terza. Tre lunghe interminabili strade tutte uguali indistinguibili, interrotte ogni cinquanta metri da una traversa tanto insignificante quanto stretta.
Niente di più semplice. Ai costruttori non restava altro che riempire il vuoto desolante ai lati delle strade, con il pieno desolante di palazzoni e condomini- riscaldamento autonomo.
E’ strano accorgersi che prima di una città nasce una strada.
Strade tutte uguali, per giunta.
Che ti mettono quasi quell’idea stronza di girare sempre su te stesso.

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