giovedì 29 aprile 2010
Chiusa radio ’ndrangheta In onda i pizzini della cosca
da ilgiornale.it
ROSARNO (Reggio Calabria) - Non vedeva l’ora di essere trasferito dal
carcere di Palmi, il boss Salvatore Pesce. Voleva sapere al più presto,
dalla sua cella, se l’avvocato era riuscito a presentare tutti i
documenti. Poi, all’ascolto di quella canzone, il sorriso era affiorato
sulle sue labbra. La risposta era sì, il trasferimento era cosa fatta.
Per fare arrivare i messaggi ai boss in carcere, a Rosarno, c’era Radio
Olimpia. «Se è positivo mi mandi una canzone questa sera alla radio, se è
negativa me ne mandi un’altra», ordinava alla moglie Salvatore Pesce. E
la radio di famiglia, totalmente abusiva in uno stabile alle spalle del
Duomo cittadino, mandava nell’etere i brani indicati, le comunicazioni
in codice che permettevano ai capocosca di comandare dal carcere come se
fossero a casa loro.
Radio Olimpia, ieri, è stata sequestrata
insieme ad altri beni dei Pesce e quaranta affiliati alla ’ndrina di
Rosarno sono stati fermati nel corso di un’operazione interforze di
carabinieri, polizia e guardia di finanza e polizia penitenziaria. Per
esercitare il loro potere, spiegano il procuratore Giuseppe Pignatone e
il suo aggiunto Michele Prestipino, le cosche hanno il bisogno
incessante di comunicare. E, infatti, i Pesce avevano pensato di
intestare ad un prestanome un’emittente radiofonica tutta al loro
servizio. Salvatore Pesce, addirittura, progettava di farsi una radio a
casa se gli avessero concesso gli arresti domiciliari.
Il suo
fedelissimo Domenico Giovinazzo già si vedeva speaker e direttore
dell’emittente. Spiegava alla moglie: «Turi si fa la radio a casa e lo
fa dalle 6 alle 8. Diciamo noi che vogliamo salutare la famiglia e gli
scriviamo una lettera e lui la legge, fa tutto solo per i carcerati». Le
indagini della procura sono partite subito dopo l’omicidio, per mano
degli avversari Ascone, di uno dei killer più fidati della cosca Pesce,
Domenico Sabatino. Le intercettazioni hanno consentito di accertare dal
vivo la dinamica criminale del gruppo, fornendo indispensabili elementi
di comprensione del sistema gerarchico interno alla cosca. La vendetta
per la morte di Sabatino è stata a lungo meditata: i Pesce si sono più
volte consultati, hanno valutato rischi e benefici di una loro risposta
violenta. Ciò ha disvelato una buona parte dell’organigramma della cosca
Pesce, i cui sodali liberi, ma anche quelli detenuti, si sono attivati
per progettare, ordinare ed eseguire gli omicidi che avrebbero permesso
alla famiglia di tornare a dominare il territorio. Il clan aveva anche
pensato di uccidere Maria Ferraro, convivente per lungo tempo di
Salvatore Pesce, per la decisione di quest’ultima di collaborare con gli
investigatori, una volta interrotta la relazione con Pesce.
Secondo
quanto è emerso dalle indagini, il ruolo delle donne nella gestione
degli affari della cosca Pesce sarebbe stato molto attivo e si sarebbe
concretizzato, in particolare, nel reimpiego dei proventi delle attività
illecite gestite dalla cosca, in particolare estorsioni e traffico di
droga.
Ma gli interessi dei Pesce erano anche nella squadra di
calcio, perché il calcio porta voti, consensi e anche molti soldi. Così,
nella rete, è finito anche Domenico Varrà, presidente della Società di
calcio «Rosarnese». Varrà era impiegato presso il comune di Rosarno
sciolto per infiltrazione mafiosa e sono documentati i suoi rapporti
stretti con quasi tutti i componenti della famiglia Pesce.
Ma il clan non gestiva solo la Rosarnese. C’era anche il Sapri calcio,
dove lo stesso Marcello Pesce, uno dei capi indiscussi, era subentrato
quale socio occulto di maggioranza.
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