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Il “vecchio” che avanza: l'assalto geriatrico alla giovinezza.
raoul sinier - mod

Raoul Sinier - illustratore
www.raoulsinier.com

L'autunno inoltrato. Le prime piogge. Il freddo. Dalle cucine il vapore si stende come una patina sui vetri e arriva il vociare soffuso delle tv nazionali. Pare che il leit motiv della stagione sia la cupezza dei tempi in cui ci tocca vivere: la precarietà, la crisi economica, i mutui impazziti o inaccessibili, le banche che sorridono davanti alle telecamere nella persona di un qualche amministratore delegato o presidente di non so cosa per dirci che no, non è vero, siamo comunque in linea, se non al di sotto, di un qualche tasso vigente a livello europeo et cetera et cetera.

In quest'Italia di “famosi” e “non famosi”, su queste isole di quotidianità, incertezze e contraddizioni, quando addirittura si fatica a capire, guardando le classiche liti da talk show, chi sia alleato di governo e chi sia all'opposizione, c'è un solo dato certo e inconfutabile: stiamo assistendo al massacro della giovinezza. Se poco più di un secolo fa era stata la prima guerra mondiale a mandare alla carneficina i “ragazzi del '99”, non è oggi esagerato credere che quella degli under35 sia la generazione più “condannata” che mai si sia vista in una società occidentale a capitalismo avanzato (se non decrepito). Condannati a vivere una vita “a progetto”, con redditi indegni, con contratti a termine, con il miraggio di una pensione che non ci sarà, di una casa impossibile da acquistare senza le garanzie o il portafoglio di papà. Caso grottesco: le vecchie generazioni condannano le giovani con la loro politica, ma al tempo stesso ne garantiscono i redditi e la sopravvivenza (da genitori).

La cosa inquietante, da un punto di vista sociologico, è che la dissoluzione del patto sociale tra generazioni è avvenuta proprio ad opera (e per colpa) di quei ventenni (oggi panciuti sessantenni) che nel fatidico '68 italiano sognavano di cambiare il mondo e di renderlo migliore. Sono diventati politici, imprenditori, economisti, amministratori, banchieri e – consapevoli o no - sono stati i principali artefici dell'attuale situazione: l'intellighenzia di un paese che è invecchiato e ingrassato senza interrogarsi sul modello di sviluppo che proponeva, senza riformare realmente alcunché.

D'altronde, come è possibile credere effettivamente a inversioni di tendenza se a governarci è una casta di gerontocrati?

Il New York Times qualche settimana fa scriveva che “...considerando gli standard del G8, l’Italia è un Paese strano. Per farla semplice, è una nazione di legislatori ottuagenari eletti da settantenni, i pensionati. Tutti gli altri non contano”.

Prodi ha 78 anni. Berlusconi 71. Il presidente Napolitano aveva già 20 anni all'epoca dello sbarco in Normandia. Solo 49 parlamentari su 630 hanno meno di 40 anni (sono il 7%!). Gli ultra sessantenni sono 3 volte di più. Non che l'anzianità sia di per sé un male, ma applicata alla politica crea un mix letale per le incredibili e immediate risposte di cui necessita un paese moderno (o che vorrebbe essere tale).

L'esempio più eclatante di una simile incapacità a capire il mondo è la recente proposta di legge Levi-Prodi che vorrebbe regolamentare l'informazione in Rete e il mondo dei blog in generale, ingabbiandolo nel solito iter di autorizzazioni, burocrazia, registrazioni e marche da bollo. Il popolo della Blogosfera si mobilita e ovunque on line è possibile leggere critiche e perplessità su una legge che va controtendenza rispetto a qualsiasi buonsenso. L'episodio è emblematico perché è proprio il classico esempio di come “il vecchio” provi a regolamentare (male) “il nuovo”. È un po' come se Albano si mettesse a cantare Rap, come se Paolo Limiti facesse il V-jay a MTV. Come se mio nonno provasse a spiegarmi come si usa l'I-pod.

Internet, come territorio giovane e dinamico, non può essere ingabbiato da gente che non sa neanche prendere in mano un mouse o scaricare la posta elettronica (se non delegando a qualche portaborse).

D'altronde, aveva ragione quel mio vecchio e corrotto professore universitario, che da buon barone italiano, sentenziava sull'imprenditoria giovanile dicendo che “fino ai 55 anni non si conta niente”.

Insomma, non ci resta che...incanutire!

Buona senilità a tutti!

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