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Mogadiscio: l'ultima Radio libera

da millecanali.it

È stato il New York Times a ricordare a tutti l'esistenza di questo centinaio di giornalisti coraggiosi in una terra vittima di guerre civili, rappresaglie e disordini politici che durano ormai da decenni. Hanno sposato la loro professione e per farla rischiano la vita ogni giorno (solo in Somalia i giornalisti uccisi nel 2007 sono stati più di venti).
Solo poche settimane fa gli Shabaab (il braccio armato di Al Qaida in Somalia) hanno preso il controllo delle stazioni radiofoniche nelle città che presidiano ('spegnendo' anche la Bbc), come le due sud-occidentali di Chisimaio e Baydhaba. «Un giro di vite per la libertà di espressione e di stampa», riferisce Omar Faruk Osman, segretario generale dell'Unione nazionale dei giornalisti somali, che denuncia anche il rapimento di almeno sei giornalisti solo negli ultimi giorni.
Ecco in che ambiente lavora Radio Mogadiscio. Dall'edifico in centro città, con le antenne alte trenta metri e con i mezzi appena indispensabili per fare una Radio, i 100 dipendenti circa dell'ultima emittente libera di Mogadiscio lavorano in uno stato di geurra, conducendo una vita blindata. A proteggerli un plotone di soldati ugandesi della missione di pace dell'African Union; per letto alcuni materassini spessi pochi centimetri di gommapiuma all'interno della Radio.
Radio Mogadiscio è l'ultima voce libera e trasmette tra piastre vecchie e altoparlanti rotti con i cavi che escono. Ma gli scaffali di oltre tre metri pieni di registrazioni ordinatamente etichettate lasciano un po' di speranza. In onda ci sono vecchi discorsi, canti popolari, canzoni patriottiche, interviste con nomadi: chilometri e chilometri di storia e cultura somala sottratti alla distruzione dei fondamentalisti.
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