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I microfoni aperti di Hit Radio Rabat

da lettera22.it

Si racconta che gli aficionados di Hit Radio, dai rapper ai semplici ascoltatori, abbiano scatenato una singolare gara di solidarietà a sostegno della propria emittente preferita, la più “giovane” del panorama radiofonico marocchino. In pochi giorni, a fine novembre, hanno inondato di sms la radio privata di Rabat, per raggiungere la somma (ragguardevole, in termini marocchini) di centomila dirham, più o meno diecimila euro. Era l’ammontare della sanzione decisa dall’Alta autorità per la comunicazione audiovisiva (HACA) ai danni della creatura di Younes Boumehdi, patron di Hit Radio ma anche presidente dell’associazione delle radio private in Marocco.
Diecimila euro da pagare per “omesso controllo”. Di cosa? Di quello che passa attraverso i microfoni aperti che nell’ultimo anno hanno invaso l’etere dell’Atlante. La colpa di Hit Radio, e soprattutto del suo conduttore di punta, Mohammed “Momo” Bousfiha, è riassunta in una frase. Quando si parla di fenomeni sociali complessi, dice l’Alta autorità, la radio deve “assicurare una conduzione assistita da professionisti che abbiano maturità, rigore, pedagogia e conoscenze scientifiche adeguate” per proteggere il pubblico giovane.
Si parlava di violenza sessuale, droga e omosessualità, in quelle serate di inizio novembre. Nelle trasmissioni che l’Alta autorità ha deciso di sanzionare, primo caso di reprimenda verso le neonate radio libere che in poco più di un anno hanno rivoluzionato il paese. O almeno le generazioni urbane più giovani. Violenza, droga, omosessualità: ingredienti delle telefonate degli ascoltatori che avevano aperto voce e cuore ai microfoni senza rete di Libre Antenne, il talk show radiofonico serale condotto, appunto, da Momo, classe 1983, una carriera da conduttore iniziata a poco più di vent’anni, e ora il ruolo (ingrato) della star dell’etere per i ragazzi che stanno rompendo il silenzio.
Lo choc è stato evidente. E il rischio, lo vedono in molti, è che non ci sia più una diga per arginare quello che i microfoni aperti di Momo hanno mostrato. Ce n’est qu’un début, insomma. E anche in Marocco, come nella vecchia Europa sessantottina, l’atmosfera sembra proprio quella di una rivoluzione in corso. Culturale, musicale, ma soprattutto generazionale. Una rivoluzione trasportata dall’etere, dopo la svolta iniziata con la (ormai storica) legge 77-03, promulgata nel gennaio 2005, che ha liberalizzato le frequenze e aperto la strada alle radio private. Per ora soltanto dieci, l’avanguardia delle società che premono per entrare nel gioco della radiofonia e che forse troveranno un canale d’ingresso nella prossima tornata di concessioni, prevista per il 2008.
Il fatto è che, dice Momo, prima di andare nello studio di Hitradio a Rabat, “le radio sono l’unico strumento mediatico liberalizzato, in un paese dove il 45% della popolazione è fatta da giovani”. Lo dimostra la stessa Hit Radio, molto amata nella fascia d’età tra i 15 e i 24 anni. “La responsabilità è grande”, spiega il giovanissimo conduttore, “ma la cosa importante è avere quella che io chiamo un’attitudine positiva verso gli ascoltatori. E poi, in radio i sostegni ci sono: c’è un esperto di questioni giuridiche, e uno psicologo che viene regolarmente negli studi”.
L’”attitudine positiva” di Momo non ha comunque fermato il dibattito sulla censura e sulla liceità di parlare di temi tabu. Che si è spostato dall’etere all’etereo mondo virtuale che, anche in Marocco, è appannaggio della stessa generazione. Ragazzi gli ascoltatori (fedelissimi) delle radio private. Ragazzi i frequentatori di forum e blog in internet. Dove non tutti sono d’accordo che in radio si debba parlare di qualsiasi cosa, anche se i talk show – non solo Libre Antenne – sono in genere collocati nella fascia serale.
Il Marocco è un paese tradizionale, ha il suo codice sociale. “Non credo che siamo arrivati a un grado tale di maturità da poter parlare liberamente di tutto”, dice uno degli ascoltatori, nickname Aspirante. Anche chi è un fan sfegatato sostiene che “Momo e la sua squadra hanno spinto troppo sull’acceleratore”. E a dire la verità, lo stesso Momo non sembra così lontano dalle categorie del suo pubblico. “Il terreno – spiega – è quello di una modernizzazione che va di pari passo con la cura delle nostre tradizioni”. Certo, però, la diga è stata aperta. E non solo da Momo, che continua a dire di non essere né “un sociologo, né uno psichiatra, e tanto meno un mufti”.
Assieme a lui, c’è tutta l’avanguardia dei conduttori su cui si riversa anche la parte nascosta della gioventù marocchina. Compresa quella che si nasconde nell’anonimato di un telefono, lontano dalle telecamere e dallo sguardo altrui. Quella che, secondo Momo, ha soprattutto un sogno: “che il nostro Marocco diventi un paese coraggioso, sviluppato e in cui si vive bene”. Da Imad Kotbi, ai suoi colleghi Nabil Bennani e Khalid Nizar. Tutti conduttori che lavorano live per ore ed ore, al mattino o alla sera, nelle trasmissioni di dediche, nei programmi sulla nuova scena musicale marocchina (inflazionata dallo hip hop), negli spazi di annunci pubblicitari in diretta.
A spiegare meglio di tutti cosa stia succedendo, lungo le coste inquiete dell’Atlante, è Noureddine Kamare, il conduttore di VIP su Rabat Chaine Inter, star indiscussa non di una radio privata, bensì della vecchia ammiraglia, la radio statale, che sotto la pressione delle private ha dovuto rifarsi il belletto. Noreddine rappresenta quella parte del Marocco che se n’è andata (come fecero i suoi genitori) perché l’unica speranza era l’emigrazione. E che poi nel paese d’origine c’è tornata. Parla il darija, l’arabo marocchino, con qualche incertezza. Ma lo usa perché il darija è uno degli ingredienti di questa rivoluzione culturale neanche tanto sotterranea. Lo strumento linguistico più intimo attraverso il quale si riesce a esprimere non solo immediatezza, ma disagio, complessità, sentimento.
“In Francia, l’emigrante urla. In Marocco, il marocchino parla”, ha detto una volta Noureddine. “Perché sino ad ora gli avevano chiesto di chiudere la bocca. E oggi si può parlare di tutto”. Di rapporti d’amore, di sofferenza, di intimità. Radio come agorà sociali, insomma. Ne era convinto lo stesso patron di Hit Radio, Younes Boumehdi, che per il 2006 si era guadagnato un posto tra i cinquanta giovani marocchini che avrebbero costruito il paese del futuro. “La radio è l’apertura”, aveva detto allora. “E’ tutto quello di cui i giovani hanno bisogno oggi per sviluppare la loro curiosità, il loro senso critico, il loro spirito d’iniziativa”. Con tutti i rischi del caso.
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