da
articolo21.info
Già in questi giorni, nonostante la data del referendum farsa non sia
stata ancora annunciata, soprattutto nei villaggi le organizzazioni
paramilitari birmane e le autorità locali stanno cominciando a
minacciare le popolazioni nello stato Arakan vi sono denunce di
forti pressioni da parte delle autorità militari perchè tutti votino a
favore della costituzione farsa. Funzionari del Comando Occidentale si
spostano intorno alle città di Manaung e An e hanno iniziato ad
intimidire gli abitanti. Un capitano e tre soldati armati e in uniforme
sono arrivati a Man Yong, un villaggio vicino ad An e hanno adunato
tutti gli abitanti di sei villaggi. Ogni villaggio ha dovuto inviare un
rappresentante ad un incontro dove è stato comunicato la costituzione
di un gruppo che punirà coloro che voteranno no al referendum.
"Vogliamo vedere solo voti a favore, altrimenti gli abitanti e i loro villaggi pagheranno per questo.”
In questo clima, che si sta
surriscaldando pesantemente, ancora non si sa quando ci sarà il
referendum. Per ora è proibito parlarne contro, pena arresti e
condanne fino a tre anni di carcere. Ieri rischiando moltissimo, 14
parlamentari birmani ancora residenti in Birmania hanno lanciato un
appello importantissimo ai parlamenti e ai governi del mondo: “ la
costituzione vergogna della giunta militare deve essere rifiutata dal
popolo e non riconosciuta dalla comunità internazionale”. L’appello fa
una durissima critica nei confronti del Consiglio di Sicurezza, che
non ha adottato una azione “efficace e tempestiva” per interrompere il
comportamento unilaterale della giunta e per attuare una vera
riconciliazione nazionale. Una critica che è rivolta anche alla azione
di Ban Ki moon che è rimasta debole e che non ha utilizzato la sua
posizione per chiedere una azione decisa al Consiglio di Sicurezza.
Anche l’azione dell’inviato speciale dell’ONU Gambari è stata duramente
messa sotto accusa. Secondo i parlamentari birmani il suo
comportamento "apparentemente sembra fuorviare l’organismo a favore
della giunta militare“. I parlamentari birmani chiedono aiuto al
mondo ed in particolare ai parlamentari perchè facciano pressioni
sulla giunta affinché adotti immediatamente le raccomandazioni del
Consiglio di sicurezza e chiedono ai governi di attuare tutte le
pressioni economiche e diplomatiche contro la giunta, perchè collabori
con le forze democratiche ed Aung San Suu Kyi. I parlamentari chiedono
che la costituzione non venga riconosciuta e che il Consiglio di
Sicurezza decida finalmente una risoluzione vincolante. Un appello
particolare inoltre viene fatto alla Cina, affinché fermi la sua
protezione verso il regime militare e inizi a cooperare con il
Consiglio di Sicurezza. Infine i parlamentari chiedono a tutti i
governi di interrompere le vendite di armi e di sistemi di intelligence
alla giunta.
Purtroppo, come tutti sanno i risultati del referendum
sono scontati. Spetta al mondo, al mondo libero, di rifiutare con
decisione i risultati.
Un altro appello viene lanciato dalle
organizzazioni democratiche e dal sindacato birmano perchè sostengano
finanziariamente la loro campagna per votare NO al referendum.
Bisogna
far arrivare e far vivere la voce della opposizione all’interno. Ci
chiedono di raccogliere urgentemente fondi per far funzionare cinque
radio che trasmettono in tutta la Birmania in varie lingue etniche.
Almeno per i prossimi due mesi servono circa 15.000 euro. Per un anno
circa 140.000 euro. La voce dell’opposizione deve raggiungere le città
e i villaggi. Tutti devono sapere che possono e devono opporsi al
referendum. Tutti devono sapere che il lavoro forzato è vietato e che
possono denunciarlo. Ma per fare questo serve la radio. Bisogna
alimentarla, con informazioni, proteggerla e farla vivere. Un appello
del sindacato birmano FTUB che il suo segretario generale Maung Maung,
oggi minacciato di morte dalla giunta, lancia con un urgenza
infinita. Dobbiamo non dimenticare e raccogliere l’appello di Maung
Maung e costruire un sostegno straordinario, anche sul piano
finanziario, da parte di coloro che vivono in paesi in cui la
democrazia sembra una cosa scontata. (Cecilia Brighi)