
da
lastampa.itEccolo qua il Nick Hornby dei
bamboccioni. Lo scrittore meglio venduto d’Italia è Bonetti Fabio in
arte Volo, da Brescia, trentacinquenne sciolto e impizzettato con un
debole per i Radiohead e i dolci alla cannella. Uno che nei momenti
d’ispirazione canta «Dio delle cittàààààà» dei Pooh sull’Ottava avenue
di New York e poi ce lo viene pure a raccontare nei libri. 320 mila
copie del suo romanzo «Il giorno in più» bruciate in libreria dal 4
dicembre a oggi. Meglio di Ken Follett, di Carofiglio, di Khaled
Hosseini con tutti i soli e gli aquiloni del caso. Molto, molto meglio
di Linus, il suo boss a Radio Deejay.
A sorpresa, e senza
traino trisettimanale su Raiuno né Berlusconi alla presentazione
ufficiale del libro, meglio perfino di Bruno Vespa, potentissimo
compagno di scuderia alla Mondadori. La storia è quella di un
fidanzamento sperimentale, nove giorni e poi basta, tra un certo
Giacomo e una sconosciuta incontrata sul tram. Il popolo di My Face,
che ha il cuore più tenero di quanto si ipotizzi, se lo sta bevendo.
Un outsider in cima. Come ci si sente?
«Felici
ma tranquilli. Ho fatto del mio: un lavoro onesto. Visto però che a
casa non mi hanno mai dato premi, la cultura del risultato, della
medaglia, io proprio non ce l’ho. Mio padre non si stancava di
ripetermelo: hai fatto quello che dovevi fare. Se poi dicessi che mi
dispiace essere arrivato primo direi una bugia. Per un ricercatore
d’affetto professionista come me è una bella esperienza».
Impressiona il fatto che lei ammetta una scolarità un po’ disastrata
«Andavo
malissimo. Sì insomma, in italiano senza infamia e senza lode. Ho
mollato in terza media, e anche lì i miei mica hanno stressato: solo tu
puoi sapere qual è la scelta giusta, mi hanno detto, basta che non te
ne stai lì a far niente (e infatti s’impiegò nella panetteria del
padre. ndr). A scuola ero il tipico bambino che ha capacità ma non
s’impegna. Quando lo dicevano a mia madre, lei tornava a casa e
commentava: chi se ne frega, l’importante è che tu sia contento. Studia
per avere la sufficienza e poi va a giocare. Mai stati pressanti, i
miei».
Non è che ne esca un quadro educativo esemplare
«Ho
imparato da solo, in altri modi. A 15 anni alternavo Hermann Hesse a
Richard Bach, quello del gabbiano Jonathan Livingston. Poi sono passato
a Dostoevskij, poi a Philip Roth. Onnivoro».
E adesso?
«"Le
benevole" di Littell. Tosto. Cominciato l’altra sera. Ma sa dov’è che
s’impara di più? Nei viaggi. Perché bevi in una tazza diversa, parli in
una lingua non tua, nessuno ti conosce, sei eccitato e ricettivo».
E
infatti le sue trasmissioni-reportage su Mtv sono il diario di un
bamboccione fortunato in trasferta a Barcellona, Parigi e New York.
Anche Giacomo, il protagonista del suo libro, va a Parigi e a New York.
Viaggi, sesso, molto sentimento, molte citazioni musicali: un cocktail
perfetto per i ragazzoni che non piacciono a Padoa-Schioppa. Una
formula furba. Troppo?
«E dai. Visto che faccio di tutto,
nessuno mi prende sul serio. Sempre costretto a difendere il mio
lavoro. Capisco che a una certa intelligentsia possa stare un po’
antipatico».
Sarà anche questione d’invidia: 320 mila copie....
«Vede,
io posso anche accettare di essere un mediocre. Lo so anch’io che i
libri sono un’altra cosa: più che uno scrittore sono un raccontatore.
Però onesto, senza filtri. Vorrei un confronto, non i soliti
pregiudizi».
Altro possibile motivo d’invidia: lei è
dappertutto e tutto sembra riuscirle bene. Romanziere, deejay alla
radio, conduttore in tivù, al cinema con D’Alatri e, da gennaio, con il
nuovo film di Cristina Comencini, «Bianco e nero». Il segreto della
multimedialità?
«Non è che ci siano trucchi particolari. Le
ripeto: sono uno senza filtri, sbotto, dico quello che mi pare. In
radio, la mattina, posso farlo senza problemi perché nessuno è
ascoltato più di me. Io non aggiungo, sottraggo, e così come sono mi
mostro. Funziona. Lo capisco dalle mail degli ascoltatori».
Che cosa le scrivono?
«Dopo
il penultimo libro, “Un posto nel mondo”, c’erano quelli che avevano
deciso di cambiare lavoro. Raccontavo una fuga dalla routine. Non dico
di essere stato io a farli decidere, ma insomma sono servito da molla.
Però sono soprattutto le ragazze a scrivermi, quelle che non aspettano
più il principe azzurro ma non si accontentano neanche dei suoi
ronzini. Oggi una donna intelligente può far molta fatica a trovare un
compagno adeguato. Le capisco benissimo. Contesto fieramente il
riconoscimento sociale del matrimonio: oggi non sposarsi è spesso una
scelta e non una conseguenza, mica a tutti può andar bene come ai miei
che sono insieme da quarant’anni. Anzi: quarant’anni meno tre giorni,
perché uno dei due a un certo punto è dovuto andare in ospedale».
Quanto a lei...
«Quanto
a me, sono single da anni, aspetto, spero, m’immagino. In questo sono
molto femminile. Non credo nella donna della vita. Credo nell’avere una
vita, e poi, ma soltanto poi, nel condividerla con una donna. Ulisse
andò in viaggio da solo, mica con Penelope»
Nel libro c’è una scena erotica che minaccia di diventare di culto, lui e lei sotto la doccia. È autobiografica?
«Be’,
insomma: diciamo che ho sperimentato parecchio. Di mio, di sicuro, c’è
la foto sulla copertina del libro. Un bar di New York, all’angolo fra
la Settima e Perry Street».