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Logoi: discorsi intorno all'esistenza di sé stessi.
Lucio Fontana - concetto spaziale  Qui a fianco, uno dei famosi "concetti spaziali" di Lucio Fontana.
Quando pensi a un logo, quello che inizia a frullarti per la testa è meno di un semplice taglio nel bianco.
Meno, molto meno.
Discorso troppo lungo, signori.
Perchè un logo è.
Un logo è sintesi di quello che sei. Che vorresti essere.
Un logo sono le tue radici e il tuo orizzonte.
Estremo gesto simbolico come il fatidico Gohonzon nel Buddismo di Nichiren Daishonin e della sua Devota Soka Gakkai.
Un logo è un cazzo. Uno sberleffo messo lì, perchè qualcuno un giorno, nella folla, su un marciapiede puzzolente della City o dall'angolo più infestato della Corea possa riconoscerti.
Un logo è il baffo della Nike, la M di McDonald's, lo scudo del comune di Roma.
Un logo è quell'altro scudo, quello crociato della Democrazia Cristiana.
La Croce, la Falce, il Martello, le Cippe disegnate a scuola sui muri dei cessi, il Fascio, il Cuore con la Freccia, la T del tabacchi di turno, fluorescente nella notte, quando sei rimasto senza cicche...
Simboli.

Un logo - la creazione di un brand e il lavoro concettuale che ci sta dietro - deve pur avere una qualche proprietà divina.
Un logo dev'essere Dio, se lo consideriamo come ultima sintesi tra la Filosofia e l'Architettura.
Un logo - se ben riusciro ed equilibrato - è come uno di quegli spazi di bellezza e totalità che Borges chiamava "Aleph": uno squarcio in sè perfetto.

La musica è Thievery Corporation.
Il guru del Brand Design italiano, indiscutibilmente: Antonio Romano.
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