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Quella voce che ti segue da trent'anni

da iltempo.it

Giaceva esanime nel cumulo dei suoi stracci, troppe bottiglie vuote attorno alle mani ormai stordite dal sonno. Ma nella notte avvolta in una bambagia di quiete, da quella incongrua nicchia che il barbone si era conquistato proveniva una voce, ad altissimo volume, che offriva poesia, riflessioni filosofiche, spunti per la resistenza dell'anima. Se ti avvicinavi diventava tutto chiaro: lì, nella stradina dietro al Pantheon, l'antenna di una vecchia radio a pile spuntava da quel giaciglio fatto di nulla, per dare conforto anche a un senzatetto ubriaco e addormentato. Un quadro assurdo, ma ricco di senso: questa è rimasta la forza della radio, anche nel secolo dei supermedia universali. Offre compagnia senza pretendere nulla in cambio, neppure la veglia o una risposta: si propone come inconscio monologante, buona amica, scatola magica onnipotente e discreta. Non chiede interazione: sta lì, basta nutrirla di batterie o di corrente e non tradisce. Puoi spegnerla e non si offende. E non ti fa mai sentire estraniato, come accade quando guardi la tv: tutti lì dentro, e tu confinato su un divano.

A Roma, "la" radio funge da tessuto connettivo di una metropoli senza più un'identità diffusa: sommessamente, segue le multitudini indaffarate e l'individuo che sente il morso della solitudine. Sali su un taxi e riscopri quanto ci si intestardisca a parlare di calcio; vai dal ciabattino e lo invidi per il privilegio della compagnia soft di un apparecchio. Entri in una jeanseria e sei travolto dall'euforia di un deejay che spara dediche e amenità; cambi stazione poco prima dell'alba e lì c'è qualcuno che prega in vece altrui. Quando senti un idioma sconosciuto, pensi di essere finito sulla banda a onde corte, su un canale che trasmette da terre esotiche: e invece è la radio per nuovi romani, quelli che non masticano ancora l'italiano, e immaginano dentro a quegli altoparlanti la piazza e la casa perdute.
E con un po' di pazienza, fra i potenti network commerciali e le emittenti politicizzate, puoi rintanarti in qualche frequenza dove il tempo si è fermato all'era pioneristica di trent'anni fa, quando le radio "erano libere veramente", come cantava Finardi, o sceglievano più modestamente di "collegare" il quartiere, il vicolo, il condominio. Pochi watt, e il segnale spariva già al pianterreno. Chiamava sempre quella vecchietta paffuta ed entusiasta. La romanissima Sora Maria: prendeva la linea e non te la ridava più. Ancora adesso, se accendi la radio, la trovi collegata.
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