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La meglio gioventù? Beati leccamuso!
“Ho visto i vostri bambini. Nei supermercati, alla spiaggia, piccoli rommel dentro le vostre jeep assurde da volpi del deserto”.

Sono le parole che Diego Cugia fa pronunciare alla voce di Jack Folla durante una puntata dell'epocale trasmissione radiofonica Jack, l'uomo della folla.
Era il settembre del 2001. Quei figli del nuovo secolo erano nati nel tempo in cui le torri crollavano, le principesse facevano le veline (e/o sposavano un calciatore) e i re facevano i tronisti da Maria De Filippi. Erika e Omar massacravano mamma  e fratellino. A sette anni di distanza, basta aprire la pagina di un qualsiasi quotidiano per accorgersi di quale mole di notizie di cronaca (nera o marroncina che sia) riguarda le gesta della nostra “meglio gioventù”. C'è il bulletto di classe che brucia i capelli al compagno di banco (e poi corre a pubblicare il video on line), la squadriglia neonazista (?!) della “Verona bene” che accoltella e uccide un ragazzo colpevole solo di aver negato una sigaretta. Se andate su Youtube, poi, potete vedervi la videoclip di “Stress” dei Justice: la telecamera segue un branco di adolescenti delle banlieue parigine durante le loro violente scorribande per le vie della capitale.
Senza scadere negli eccessi dell'arancia meccanica parigina, si può dire che anche da noi la cronaca di questi anni ci ha già svezzato all'idea che i nostri figli possano compiere stronzate, misfatti e crimini.
Ci ha anche abituato ad un'altra cosa: alla vista di improbabili genitori alle prese con i lori “piccoli rommel” (come li chiama Jack Folla): l'appuntamento con l'alimentarista, il corso di nuoto, il corso d'inglese, le Giovani Marmotte, il Circolo dei Canottieri e tutti quegli impegni organizzati che farebbero invidia all'agendina di un capo di Stato. Allevano in batterie monodose piccoli despoti che sbraitano come ossessi e urlano e sbattono i piedi, se qualcosa non va come vorrebbero.
I loro figli non sono neonazisti, perché non sanno neanche in che secolo c'è stato l'Olocausto. Non sono vittime di una qualche ideologia: non distinguerebbero un cosacco da un cow boy. Credono che Pinocchio sia una trasmissione di Italia Uno che parla di fighe e bella vita, che la Resistenza sia qualcosa che si studia in Fisica.



olocausto e revisionismo storico  Da piccolo, quando Lester tornava da una brillante interrogazione in Latino e lo comunicava alla famiglia, il padre rispondeva sempre “Hai fatto metà del dovere tuo!”. Il mio amico Lester Galloway a volte si commuove ripensando ai sani ceffoni del padre, ai calci in culo, ai sacrosanti “leccamuso” della madre se rispondeva male o rincasava con mezzora di ritardo. Ripensa ai lunghi tempi morti e alla noia dei dopopranzo d'estate, all'ora della pennichella forzata, alla prima volta che gli hanno chiesto cosa volesse fare da grande, a che scuola iscriversi. Ripensa a un tempo lento e paziente, fatto di cose che potevi fare e altre che NON dovevi fare. Fatto di stagioni. Non di limiti, ma di libertà che avresti conquistato gradualmente anche grazie ai “no” che ti facevano incazzare.

Chiedetelo ad una qualsiasi insegnante di scuola primaria, oggi. Chiedete come sono i figli di quelli che non sanno dire certi “no”. Che sbraitano come ossessi e li vogliono vedere primeggiare in ogni cosa, a costo di schiacciare i loro compagni: andatevi a vedere una qualsiasi partita di una scuola calcio, ma più che i “pulcini” osservate i galli e le galline. La determinazione che hanno nel concepire i propri figli o come una propaggine di se stessi o come una macchina da cui esigere performance e successo.

Cugia ha coniato un ottima definizione del problema: lo ha chiamato “il fantastico infelice”, quello che “si compra in edicola o al negozio dei giocattoli e che non mantiene mai le promesse”.
Quello che a volte ti lascia, da adulto, a prenderti in faccia tutti quei “leccamuso” che non ti hanno dato da piccolo (se non t'arrestano prima).
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