le parole sono piume.
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Non me ne voglia Carlo Levi, lo scrittore e pittore italiano che più di 50 anni fa (1955) coniava il celebre motto (e titolo di un suo libro) “le parole sono pietre”.
Non me ne voglia, ma oggi le parole sono piume. Leggere, evanescenti, rimuginate e dimenticate nel giro di una notte, di una settimana, al massimo di un mese. Il tempo che è occorso a Gianfranco Fini per dimenticare le frasi pungenti con cui sanciva (ma il termine è fin troppo categorico) la fine della sudditanza da Silvio Berlusconi. A quest'ultimo, poi, è bastato saltare a pie' pari panettoni e torroni per dimenticare che ai primi di dicembre aveva quasi fondato un nuovo partito (quello del Popolo delle Libertà, ricordate?), annunciando che decine di milioni di cittadini stavano già aderendo in ogni piazza d'Italia: altro che le primarie di Veltroni!
Aveva
precedentemente profetizzato ogni 2 giorni la caduta del governo
Prodi, che sembrava barcollante ma che poi, alla fine, non tracollava
mai. Quando il Professore è caduto, neanche Emilio Fede se lo
aspettava più, dal momento che neppure il più raffinato
dei politologi avrebbe potuto prevedere che sarebbe successo per un
capriccio familistico di un ex alleato (Mastella) e la sfiducia di un
paio di diniani (che equivalgono numericamente ai partecipanti di una
riunione di condominio e si contano sulle dita della mano di uno
sminatore invalido).
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Anche
Casini ha dovuto reingurgitare le male parole rivolte al Cavaliere e
rientrare all'ovile.
Qualche
salto carpiato tra retorica e realpolitik per tornare sostanzialmente
all'assetto di 14 anni prima, con una coalizione ancora più
eterogenea che andrà dalla destra pecoreccia di Buontempo e
Storace al cattovippismo dei centristi, passando per la Lega di
Bossi.
Quello stesso Bossi che una volta disse:
"Silvio
Berlusconi era il portaborse di Bettino Craxi. E' una costola del
vecchio regime. E' il più efficace riciclatore dei calcinacci
del pentapartito. Mentre la Lega faceva cadere il regime, lui stava
nel Mulino Bianco, col parrucchino e la plastica facciale. Lui è
un tubo vuoto qualunquista. Ma non l'avete visto, oggi, tutto
impomatato fra le nuvole azzurre?"
Mentre
l'impomatato rispondeva:
"Bossi
parla come un ubriaco da bar" (Silvio Berlusconi, 15 agosto
1994).
"Bossi
è un Giuda, un ladro di voti, un ricettatore, truffatore,
traditore, speculatore" (Silvio Berlusconi, 21 dicembre 1994).
"Bossi
è un dissociato mentale" (Silvio Berlusconi, 25 febbraio
1995).
"Bossi
è un folle che fa dichiarazioni folli. Sembra che sia normale,
invece è completamente folle" (Silvio Berlusconi, Ansa,
20 luglio 1995).
Nessuna
dissonanza cognitiva, insomma, per nessuno.
D'altronde lo stesso
Cavaliere il 18 marzo del '96 aveva detto "Se perdo le elezioni,
vado a casa" e 12 anni dopo ci sorriderà di nuovo dai
manifesti elettorali.
Questo
post potrebbe intitolarsi “l'insostenibile smemoratezza
dell'essere”.
Una
smemoratezza bipartisan, visto che nel frattempo, tra una legislatura
e l'altra, il Centro-Sinistra ha dimenticato di risolvere il
conflitto di interessi, di sanare l'assetto radio-televisivo italiano
e riformare il sistema delle telecomunicazioni, come di rimediare al
Porcellum di Calderoli.
Tutte
cose di cui magari si era parlato ardentemente nei salotti
radicalchic del progressismo socialdemocratico e antiberlusconiano, mentre si era
all'opposizione.
Parole,
parole, parole.
(Di
nuovo) parole come pietre (forse), così ben nascoste nei pugni
che nessuno le può vedere.