da
L'Espresso
Centoquattordici parrucchieri, 67 camerinisti, 66 arredatori, 61
falegnami, 18 costumisti, 12 meccanici, 34 consulenti musicali, 36
scenografi, un'orchestra leggera di 16 elementi (indipendente da
quella sinfonica della Rai di Torino con 116 musicisti) che non
viene utilizzata da anni. Più o meno 400 unità, retaggio dei
decenni del monopolio (i formidabili anni 1950-80, quando la Rai
realizzava tutto al suo interno) e che già da sole equivalgono
all'intero organico di La 7-Mtv.
Sono esempi limite del
mare magnum della popolazione Rai. Messa sotto esame da un
Comitato istruttorio per l'Amministrazione ultimato un mese fa, che
rivela nero su bianco e in modo riservato lo stato dell'arte sulla
'Situazione dell'organico del gruppo Rai'. Con una raccomandazione
pesante, senza troppi giri di parole: verificare addirittura "la
capacità dei 'capi' di governare uomini e processi
produttivi".
Tra contratti a tempo indeterminato (9.889 per la capogruppo,
11.250 in totale) e contratti a tempo determinato per esigenze di
produzione e di gestione (1.998 in tutto),
la cittadella
Rai arriva a 13 mila e 248 abitanti. Quanto gli abitanti
di Lavagna. Il doppio di quelli di Asolo. La metà di quelli di
Enna. Senza considerare la montagna dei 43 mila contratti di
collaborazione (da quello a Bruno Vespa all'ultimo
figurante).
Più che un rapporto, è un vero e proprio censimento Rai.
Una radiografia aritmetica della stratificazione
elefantiaca della televisione di Stato, gravata da anni di
blocchi, clientelismi, raccomandazioni. Un minuzioso elenco che
snida figure antropologiche-spot, presenti, non si sa perché,
soltanto in alcune sedi: un geometra, ma solo a Firenze; cinque
annunciatori tra Bolzano, che ne ha tre, e Trieste, che ne ha due.
E che mette in luce il 'peso' di alcune aree significative.
Ventotto addetti alla segreteria del consiglio d'amministrazione,
49 alla Direzione generale (compresi i distaccati verso società del
gruppo), 397 ai Servizi generali, 114 alla Pianificazione
controllo, 142 all'Amministrazione e 133 all'Amministrazione e
Abbonamenti, 679 alle Riprese pesanti, 252 alle Risorse umane con
ben 21 alti dirigenti. Lo studio ci va giù duro: "Abnorme il numero
delle strutture a diretto riporto dal Vertice. Duplicazioni di
attività. Onerosa rete di controllo formale sulla cui efficacia è
legittimo nutrire più di un dubbio. Eccessiva polverizzazione delle
testate giornalistiche che non ha confronto con gli altri servizi
pubblici europei".
Un organico monstre che, tra contratti a tempo indeterminato
e determinato, abbraccia 1.771 giornalisti (di cui 54 sono vice
direttori, quasi cinque per ognuna delle 11 testate), 931
programmisti-registi, 76 aiuti registi, 476 assistenti ai
programmi. Solo la somma dei dipendenti di Rai Way, gestore degli
impianti tv e radio (nata nel 2000, ha 648 addetti) e Sipra, la
concessionaria di pubblicità, supera il migliaio di persone
(1.405). Dislocate nel territorio, 22 squadre di riprese: un
numero, si legge nel rapporto, che non ha pari in nessun
broadcaster pubblico o privato in Europa. Non solo. Sempre più di
frequente, notano gli analisti, le reti e le direzioni editoriali
chiedono di assoldare e contrattualizzare altre società per
l'acquisizione e la realizzazione di appalti. Nel 2007, secondo
Cgil, i costi esterni sono arrivati a 1.327 milioni. Il
Gran Moloch della tv pubblica non si sazia mai.
La nomenklatura radiofonica, programmi, Gr e Gr Parlamento, vale
754 anime. Rai Internazionale, ex International, diretta dal
prodiano Piero Badaloni, successore del camerata Massimo Magliaro,
ha 39 giornalisti assunti (e quasi altrettanti a tempo
determinato), di cui ben 22 sono graduati e cinque hanno qualifica
e stipendio di vice direttori. La rete 'dovrebbe' trasmettere il
meglio dei programmi Rai nel mondo. Ma si pregia, invece, del
record di proteste degli italiani residenti all'estero, inviperiti
per l'impiego di materiale vecchio come il cucco. Persino a
Capodanno, momento sacro anche per emigranti di lunga data, avidi
di seguire i festeggiamenti in patria, il buon Badaloni e la sua
squadra, evidentemente impegnati a stappare champagne altrove,
hanno mandato in onda una vetusta registrazione, mantenendo così lo
standard tradizionale di corale indignazione degli italioti in
esilio. Eppure la rete vanta un organico di tutto rispetto: ben 152
persone. Quanto RaiDue (153). Poco meno di RaiTre (166). Un numero
sorprendente visto che RaiUno, dicasi RaiUno, l'ammiraglia di viale
Mazzini, ne ha 206.
Anche Rai News 24 diretta da Corradino Mineo non scherza con il suo
organigramma di 122 persone, di cui 94 giornalisti. Solo dieci in
meno di quelli del Tg5 di Mediaset. Il canale satellitare allnews
rappresenta una risorsa nevralgica, anche per il futuro digitale.
Ma lo share non brilla e nella sfida con l'aggressivo Tg24 di Sky
(39 edizioni di telegiornali giornalieri seguitissimi, 141
giornalisti), in progressivo boom di ascolti, arranca. Anche nel
paragone con gli altri tg, dove la stratificazione di personale è
già degna di nota, come il Tg3 (104 giornalisti, in tutto 140
persone) o il Tg2 (126 giornalisti su 167 addetti), la squadra di
Mineo appare più che consistente. Persino il Confronto dei
confronti, cioè quello con la testata diretta da Gianni Riotta, la
dice lunga. Il Tg1, primo telegiornale d'Italia, conta 136
giornalisti (su un totale di 180 persone). Solo 40 in più di Rai
news.
Per non parlare dell'organico del Televideo firmato da
Antonio Bagnardi: 96 persone a disposizione di cui 49 giornalisti.
O di quello di Rai Parlamento, palma di platino per la più alta
densità di graduati. Il direttore Giuliana Del Bufalo può
pavoneggiarsi: su una squadra di 46 addetti, 26 sono giornalisti, e
di questi, cinque sono capi redattori, tre vice, cinque
capiservizio e altrettanti vice direttori. Uno di loro, l'ultimo
arrivato, si fa per dire, è stato Giorgio Giovanetti, ex assistente
di Angelo Maria Petroni, consigliere Rai in quota Forza Italia,
alla sua prima nomina operativa grazie a Del Bufalo. E poi si
favoleggia che le donne in carriera siano delle iene.
Il dettagliatissimo rapporto dimostra come nonostante i
prepensionamenti a tutti i livelli, il popolo Rai non accenni a
diminuire. Per forza. La televisione di Stato continua a essere
sotto lo scacco della politica e dei partiti, che a ogni cambio di
Palazzo Chigi si precipitano a chiedere le teste di direttori (e
così giù per li rami) per inserire innesti nuovi, più organici
all'ennesima colonizzazione. Difficile credere che la nuova classe
al governo, di cui una buona parte bisognosa di farsi conoscere,
possa fare a meno del potere esercitato sulla Rai (basti pensare a
un partito radicato nel territorio come la Lega). E rinunciare
all'influenza sui tg regionali, fondamentali postazioni per favori,
clientele, assunzioni. I dati della Tgr diretta da Angela
Buttiglione sono quasi pulp: 851 persone di cui 689 giornalisti. E
il Coordinamento delle sedi regionali (che non si occupa dei centri
di produzione sparsi per il paese) conta 656 dipendenti. È vero che
la Rai è obbligata a dare voce alle 21 regioni, come notano a viale
Mazzini. Ma 1.507 addetti rappresentano un numero più che pulp.
Addirittura post-moderno.
Lo studio è il manifesto numerico di un modello politico e
ideologico. Il piano industriale presentato dall'attuale Direzione
generale aveva definito economie, tagli e prepensionamenti. Ma il
Gran Moloch Rai ha reagito immediatamente. Il fenomenale format
organizzativo del carrozzone è arduo da cambiare. Difficile
modificare un giacimento di Stato, aureo per i partiti, alimentato
pure dal lascito feudale di poter tramandare il proprio posto fisso
ai diletti parenti. Anche le molte cause di lavoro perse fanno la
loro parte: mille quelle in corso, 100 mila euro il costo medio di
ognuna, 150 circa l'anno quelle in cui la Rai viene sconfitta (15
milioni di euro circa tra avvocati e risarcimenti). Motivi?
Soprattutto il reintegro delle funzioni, (prima causa, gli strali
politici) e i riconoscimenti del lavoro precario, vero motore
propulsivo e produttivo dell'azienda che deve a questa forza buona
parte della messa in onda dei programmi.
Eppure la Direzione produzione Rai conta 3 mila 851 persone. Una
cifra da sballo. Un numero da capogiro visto che è quasi pari al
totale dei dipendenti del Gruppo Mediaset. Infatti, la forza lavoro
del Biscione berlusconiano arriva a 4 mila e 635 unità, di cui 4
mila e 506 a tempo indeterminato. Nonostante la mole del personale
(che, secondo le previsioni, entro il 2009, è destinato ad
aumentare di altre 1732 unità, se non ci saranno nuove soluzioni
gestionali e sindacali), il 22 per cento delle produzioni della
televisione di Stato è affidato all'esterno.
Nelle conclusioni, gli analisti sottolineano come, nel
mercato della comunicazione, il servizio pubblico si giustifichi
soltanto se è produttore di contenuti. E se riesce a far
crescere al suo interno dei centri di eccellenza creativa. E
insistono nella necessità di una pianificazione strategica con
regole aziendali rigide "che impongano alle direzioni editoriali di
saturare prioritariamente le risorse interne. E di verificare,
vista la significativa dimensione d'organico, con una doverosa,
attenta ricognizione, la loro affidabilità professionale e la
capacità dei 'capi', a ogni livello di responsabilità, di governare
uomini e processi produttivi".
Un bel fendente ai vertici passati, presenti e futuri. Ma sarà
improbabile che i dirigenti che arriveranno, benedetti dalla neo
maggioranza al governo, seguano questa direttiva. Anche per loro,
la Rai sarà terra di conquista, di promozioni, di poltrone da
moltiplicare. Con buona pace di centinaia di precari, da anni in
attesa di una sanatoria meritoria, alcuni con decenni di
prestazioni. Ora devono fronteggiare anche il blocco dei contratti
predisposto dall'azienda e causato della nuova disciplina del
lavoro sui contratti a termine.
Le norme prevedono l'assunzione a tempo indeterminato per chi abbia
superato i 36 mesi di impiego, comprensivi di proroghe e rinnovi
(prima gli intervalli tra un contratto e l'altro la evitavano). Il
31 dicembre 2007, mille e 185 unità, tra quadri, impiegati e operai
avevano già maturato i tre anni. A fine febbraio 2008, invece,
avevano toccato il traguardo 162 giornalisti. I precari, forza non
fannullona, che fa il lavoro di centinaia e centinaia di dipendenti
della tv pubblica, minacciano scioperi che potrebbero davvero
bloccare una parte significativa dei palinsesti. Ma, visto
l'organigramma monstre dell'azienda, per loro c'è poco da sperare.
Per potenti e per raccomandati, c'è sempre Mamma Rai. Per gli
altri, la Rai è solo matrigna.