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"Talk to me", quando la radio diventa voce della gente
Esce il 13 giugno il film dedicato a Petey Greene, icona radiofonica dell’America nera degli anni Sessanta.

La sua gavetta di speaker comincia in prigione – dove lavora ad un’emittente interna -, ed è proprio lì che incontra Dewey Hughes, direttore dei programmi della radio commerciale di Washington “WOL”, in visita dal fratello detenuto.

E’ da lui che Petey Greene ottiene (forzatamente) la conduzione del programma radiofonico della mattina. Sono gli anni del R&B e del soul, ma anche quelli di una segregazione razziale diventata sempre più aspra e insopportabile. Petey Greene, con un microfono e con la sola voce, diventa la valvola di sfogo degli esclusi, di quelli che la società respinge ai margini e considera reietti.

Il suo linguaggio colorito – che causa non pochi problemi al direttore della radio, un ottimo Martin Sheen – diventa la rabbiosa colonna sonora di un movimento sempre più consapevole delle proprie ragioni e della propria forza. Kasi Simmons, supportata dall’ottima sceneggiatura (firmata Michael Genet e Rick Famuyiwa), è brava nel mantenere il ritmo del film sulle giuste cadenze, frenetiche senza essere esagerate, e focalizzando l’attenzione del racconto, piuttosto, sulla crescita del rapporto sempre più fraterno tra Dewey e Petey.

Una “liaison” che non può che subire gli effetti scaturiti dalla morte di Martin Luther King. L’uccisione del grande esponente della comunità nera diventa infatti lo spartiacque simbolico di Talk to me: la reazione di Petey, sorprendentemente pacata piuttosto che furiosa, testimonia la trasformazione del protagonista, improvvisamente disilluso e privo dell’energia istintiva che lo aveva contraddistinto fino a quel momento.

Una dolorosa maturazione politica, una consapevolezza amara di certi limiti invalicabili della società americana e un cupo pessimismo, che lo accompagna da un certo punto in poi nelle stanche apparizioni televisive, dove si rifiuta di scimmiottare la parte del cabarettista arrabbiato ma in definitiva impotente.

Un itinerario esistenziale e professionale che fa venire in mente un altro intrattenitore solitario, interpretato dallo straordinario Dustin Hoffman in Lenny, film diretto da Bob Fosse nel 1974. Paragone arduo ma non irriverente, perché il Don Cheadle di Talk to me conferma - come già fatto nello struggente Hotel Rwanda – di essere uno tra gli interpreti di primo piano della nuova generazione nera americana.

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