da
zetavu, repubblica.it
Sono stato per
quasi quindici anni della mia vita un giornalista sportivo. Nei dieci
passati dentro Repubblica, questa è stata la parte più divertente della
mia storia professionale - la più interessante no, ma la più divertente
di certo: si viaggia, si vedono cose, ti trattano come il gran signore
che quasi mai sei, di certo non lo ero io. Ho "coperto" due olimpiadi,
due mondiali di calcio, quattro europei under 21, tutti i mondiali ed
europei di atletica leggera fra le '87 e il 1996 (l'atletica era il
"mio" sport), anno in cui ho cominciato ad occuparmi di altro.
Questa premessa per dire due cose: che so di cosa parlo e che mi
rivolgo direttamente a quelli che lavoravano con me, gomito a gomito,
nelle tribune stampa.
Cari colleghi, è ora di fare un gesto di dignità umana e
professionale. Parlo del Tibet, della Cina e delle Olimpiadi. Vi
propongo di farlo giocandovi, letteralmente, l'accredito: cioè la
possibilità di andare a Pechino e seguire le Olimpiadi. Non è detto che
lo perdiate. Seguitemi un attimo.
Pronunciatevi pubblicamente - potreste farlo aprendo un blog a
questo scopo - non "contro "la Cina" o "per il Tibet", e nemmeno per
il boicottaggio dei Giochi, nessuno vi chiede tanto.
Chiedete e ponete una condizione, una sola: ai giornalisti, a
voi stessi e ai nostri confratelli che si occupano di politica
internazionale, sia consentito da subito, da questi giorni di marzo, di
fare il loro mestiere raccontando in parole, immagini e video ciò che
sta accadendo nelle aree di crisi, oppure voi restituirete
l'accredito e vi rifiuterete di partecipare agli ennesimi giochi della
vergogna e del sangue (ricordate no? o dobbiamo fare l'elenco?).
Fate del vostro accredito, e del vostro piccolo piacere di 15 giorni, un'azione ghandiana in cui si rinuncia alla
propria missione professionale se non è dato di poterla svolgere in
perfetta libertà. Questo il programma che vi propongo.
I media italiani manderanno centinaia di accreditati. Potete far
molto, pesare significativamente, adesso, sul regime di Pechino. Se vi
metteste in
contatto (fatelo sto
blog, in più lingue) con i colleghi europei,
sareste migliaia. Si potrebbe coinvolgere il silente ordine dei
giornalisti e quelle associazioni/baraccone che raccolgono i cronisti
sportivi in tutto il mondo. Si potrebbero fare tante cose... Ma fatele,
non è detto che ve lo ritirino, l'amato accredito per cui tanto avete
lottato e sospirato.
Sento l'obiezione numero 1: chi racconterà i giochi alla nostra gente?
Non fate l'errore di sentirvi necessari. I grandi network tv hanno
investito troppo per non andarci. Parlerete e scriverete su quelle
immagini. E rinuncerete sì a tante belle firme illustri e a tanta buona
letteratura - "cantare lo sport, non politicizzarlo", dice da sempre
il mantra dell'ambiente - ma avrete fatto qualcosa di vero e concreto
per la vostra libertà prima che per quella degli altri.
Sento l'obiezione numero 2.Si fa di più per i cinesi e i tibetani andando là e facendo il nostro lavoro.
E' una menzogna e lo sapete, è proprio il vostro lavoro che non vi
faranno fare. "Volontari" solertissimi vi controlleranno anche al
cesso. I vostri articoli saranno intercettati e letti parola per
parola. Ciò che vedrete sarà solo ciò che vorranno farvi vedere. E'
così che andrà, siete certi di ignorarlo?
Sento l'obiezione numero 3. A questa azione non aderiranno tutti, e quelli che avranno protestato si ritroveranno danneggiati professionalemente.
Non lo credo: il vostro gesto, se seguito da una massa critica
sufficiente di giornalisti, potrebbe convincere anche le aziende
editoriali e televisive della sua decenza politica ed a cancellare motu proprio la partecipazione dei propri inviati, fotografi, cameramen, tecnici a Pechino. E comunque quel gesto vi renderà più forti.
Ci si ritrova raramente ad avere nelle mani un potere reale: voi in
questi mesi lo avete. Sta in quel pezzo di plastica con la vostra foto
che vi penderà dal collo e dal quale la Cina si aspetta una
consacrazione definitiva a ciò che non è: un paese libero e
democratico. E' una consacrazione che le vostre estasiate cronache
"sull'efficienza e la perfetta organizzazione" produrranno. Il
dispositivo, da Leni Riefenstahl in poi, è oliato. Funziona sempre.
Usatelo quel pezzo di plastica, usatelo per chi oggi è oppresso,
privato di libertà primarie che voi trovereste inimmaginabile perdere
anche solo per un quarto d'ora.
Non fatelo chiedendo la luna: fatelo chiedendo di poter lavorare. E
che possano farlo anche quelli che in questo momento non possono, e che
possano farlo da adesso garantendo informazione e racconto dei fatti.
Aprite quel blog.
(grazie a Geppo Negri per la segnalazione)