giovedì 29 novembre 2007
lettere
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Luglio 1945. Devono esserci ancora le macerie della guerra là fuori e qualcuno scrive una lettera d'amore per Giuseppina.
Lester Galloway dice che ha ritrovato questo stralcio di lettera in una vecchia valigia di cartone, in cui Nonnobuonanima aveva conservato i ritagli di una vita, i documenti importanti, le ricevute del Totip, i primi calendari della Vespa e i biglietti strappati dei cinema di Stassfurt, quando sbucciava patate nel Terzo Reich.
Se n'è stata per 50anni chiusa in una valigia di cartone, questa lettera. Tra un foglio del Gazzettino e una pubblicità da rotocalco della Brillantina Tricofilina.
La risposta di Giuseppina se ne sta così, con calligrafia decisa, al termine dello spazio bianco di una lettera di dichiarazione, con grafia incerta e storta.
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Doveva essere un amico del vecchio, Raffaele. E' lui che scrive a Giuseppina, o meglio...è Nonnobuonanima che scrive , visto che l'amico non lo sa fare. Scrive una lettera per procura. Nel Luglio '45. C'è ancora la guerra, là fuori, forse. E Raffaele non sa scrivere. Ama Giuseppina e la riga non tiene...la grafia se ne va storta...per fogli di carta blu.
Brillantina Tricofilina. Mestrina-Carbosarda 1X.

|  | Altri tempi. Giuseppina risponde che no. Risponde: "Gentilissimo Signore, vi ringrazio del Vostro pensiero ma non accetto il Vostro amore..." Chiaro, no? Magari certe sbarbe del sabato sera post-modermo ti chiamassero "Gentilissimo Signore"! Lester si chiede che faccia abbiano. Giuseppina e Raffaele. Gli sembra quasi di vedere una polaroid sbiadita. Nonnobuonanima deve aver avuto pietà dell'amico, senza consegnargli la missiva di risposta della tipetta. Magari avrà inventato qualche scusa improbabile, tipo che la signorina Giuseppina era già promessa sposa a un qualche ragioniere di Crecchio e via dicendo. Dovevano andare così le cose, con la guerra piantata tra l'aorta e l'intenzione... La guerra dentro, mentre fuori inizia il "dopo".
Si torna a giocare addirittura a calcio. E una poetica squadra di minatori sardi va a conoscere le nebbie di Mestre. Lester centellina un bicchiere di Lagavulin del Bandana Pub. "Che storia stronza" dice, accendendosi una paglia "Pensa che senso idiota...Come se qualcuno, un giorno, trovasse questi tuoi post..chiusi in una valigia di cartone...". "..." "Altri tempi..." "..." "Sai cos'è che mi chiedo ultimamente?"
Lester a volte è così. Potrebbe avere di fronte chiunque, da Leonardo Da Vinci a un fantasma, e sarebbe come stare davanti a uno specchio. A volte si fissa. Con una qualche idea balenga, come portare al guinzaglio un coniglio pittato di fucsia a Piazza Salotto (stile Gigi Meroni). "Chissà com'è andata a finire?" "Tu che dici?" "Secondo me ha vinto la Carbosarda"
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mercoledì 28 novembre 2007
Logoi: discorsi intorno all'esistenza di sé stessi.
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Qui a fianco, uno dei famosi "concetti spaziali" di Lucio Fontana. Quando pensi a un logo, quello che inizia a frullarti per la testa è meno di un semplice taglio nel bianco. Meno, molto meno. Discorso troppo lungo, signori. Perchè un logo è. Un logo è sintesi di quello che sei. Che vorresti essere. Un logo sono le tue radici e il tuo orizzonte. Estremo gesto simbolico come il fatidico Gohonzon nel Buddismo di Nichiren Daishonin e della sua Devota Soka Gakkai. Un
logo è un cazzo. Uno sberleffo messo lì, perchè qualcuno un giorno,
nella folla, su un marciapiede puzzolente della City o dall'angolo più
infestato della Corea possa riconoscerti. Un logo è il baffo della Nike, la M
di McDonald's, lo scudo del comune di Roma. Un logo è quell'altro scudo,
quello crociato della Democrazia Cristiana. La Croce, la Falce, il
Martello, le Cippe disegnate a scuola sui muri dei cessi, il Fascio, il Cuore con la Freccia, la T del tabacchi di turno, fluorescente nella notte, quando sei rimasto senza cicche... Simboli.
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Un logo - la creazione di un brand e il lavoro concettuale che ci sta dietro - deve pur avere una qualche proprietà divina. Un logo dev'essere Dio, se lo consideriamo come ultima sintesi tra la Filosofia e l'Architettura. Un
logo - se ben riusciro ed equilibrato - è come uno di quegli spazi di
bellezza e totalità che Borges chiamava "Aleph": uno squarcio in sè
perfetto.
La musica è Thievery Corporation. Il guru del Brand Design italiano, indiscutibilmente: Antonio Romano.
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venerdì 23 novembre 2007
a guardarla da lì...
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A guardarla da lì non sembrava neanche una città. Forse
un’accozzaglia indistinta di
antenne grigio cemento mattoni cortili cancelli automatici boutiques cicchespente cartacce rottami alluminio plexiglass strombazzare clacson voci. A
guardarla da lì. Come ingabbiata tra le linee asimmetriche dei
pescherecci, infilzata certo dai fili tesi - linee a inseguirsi senza
un apparente motivo. Doveva essere un bel po’ ubriaco l’architetto che l’ha progettata. Ubriaco e per di più neanche tanto estroverso, direi. Me
lo immagino chino sul suo tavolo da lavoro. La mano instabile che
s’appoggia alla squadra, la matita che parte violando il foglio bianco
con una lunga retta - quasi una ferita, direi, tra il mare e le
colline. Poi una seconda linea, parallela alla prima. E
poi una terza. Tre lunghe interminabili strade tutte uguali
indistinguibili, interrotte ogni cinquanta metri da una traversa tanto
insignificante quanto stretta. Niente di più semplice. Ai
costruttori non restava altro che riempire il vuoto desolante ai lati
delle strade, con il pieno desolante di palazzoni e condomini-
riscaldamento autonomo. E’ strano accorgersi che prima di una città nasce una strada. Strade tutte uguali, per giunta. Che ti mettono quasi quell’idea stronza di girare sempre su te stesso. |
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giovedì 22 novembre 2007
Fatti 'na famiglia!
disegno a base di china e acrilico (poi un po' di tavoletta grafica) Lorenzo Pierfelice 2007
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mercoledì 21 novembre 2007
Veltroni sceglie il patriottismo dolce.
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lunedì 19 novembre 2007
Il Popolo delle Libertà e l'ultimo eroe romantico.
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Al termine di questo gelido weekend novembrino, rintanato in casa tra acrilici e pennelli, apprendo che lì fuori, al freddo e al gelo dell'Era Sovietica Prodiana, milioni e milioni di popolani delle libertà sono andati a votare ai gazebo di Forza Italia. Per cosa?! - mi chiedo. Facile! Per chiedere il ritorno immediato alle urne e cacciare definitivamente Prodi. Rimango confuso qualche istante: non ricordo di aver mai letto su nessun libro di Educazione Civica che si possa indire una qualche consultazione spontanea da parte di un partito per far cadere un governo regolarmente eletto e delegato. C'è di più, poi: mi sono
distratto un attimo, non ho guardato il tg delle 13 ed eccomi a sera
che mi ritrovo un nuovo impetuoso vento di libertà a soffiarmi sulle
persiane.
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La Silvieide continua. Il suo unico e
indiscusso protagonista annuncia la nascita di un nuovo
partito. Si chiamerà Partito del Popolo delle Libertà. Annuncia anche
che negli oltre diecimila gazebo forzisti allestiti sul territorio
nazionale hanno votato più di 7 milioni di cittadini, consegnando
all'urna arcoriana il verdetto che sì, che è ora che questo governaccio se ne torni a casa eccetera eccetera>>. Partito del Popolo delle Libertà. Penso. Partito
del Popolo delle Libertà. Dio mio, se quest'uomo non fosse in malafede
sarebbe il più grande eroe romantico del Novecento.
Manco a Paperopoli
avrebbero cacciato fuori un nome del genere: Partito del Popolo delle
Libertà. Se lo avesse proposto un creativo in agenzia, come minimo
l'account senior gli avrebbe sventolato un verdone sotto il naso
consigliandogli di cambiare pusher.
Stretto nella morsa dell'onta per
l'ondata di partecipazione alle primarie del neonato Partito
Democratico di Veltroni, fondamentalmente in bestia con Fini e Pierferdy che sembrano voler flirtare sulle riforme, e sostanzialmente in panne dopo aver profetizzato - ben oltre i limiti dell'attegiamento psicotico - "spallate" e imminenti cadute dell'esecutivo sulla Finanziaria, l'Unto dal Signore si lancia ora in un'ennesima operazione trasformista. Forza Italia si scioglie in sè stessa. Non un dinamico percorso di ridefinizione di una nuova forza politica (come nei lunghi mesi che hanno portato alla nascita del PD), ma la più classica delle operazioni di facciata. Cambiare un nome perchè nulla cambi. Ridisegnare il packaging, magari. Qualcuno forse dovrebbe spiegare al Berlusca che di solito i partiti nuovi nascono per due sostanziali motivi: a) se la Storia, nel suo incessante accadere, crea delle situazioni "nuove", non più ascrivibili alle classiche categorie con cui si è precedentemente interpretata la realtà (è il caso - ad esempio - della trasformazione del vecchio PCI in PDS e, poi, DS; come anche della nascita di AN da una costola del MSI); b) se forze politiche, un tempo separate, si aggregano in un nuovo soggetto politico con un determinato e ridefinito universo valoriale (il Partito Democratico nasce infatti dall'unione di DS e Margherita).
Perchè Forza Italia dovrebbe sciogliersi in un nuovo soggetto?! Non era il primo partito italiano?! Se non sbaglio prese il 23,7% alle ultime politiche (aprile 2006). Non è, in fondo, l'unico soggetto del centro-destra a godere di ottima salute (almeno stando ai sondaggi di Arcore)? Considerando che il Bis-Unto dal Signore (viste le sue 2 legislature al governo) ha già indetto nel giro di un paio di settimane la nascita del PPL, non sarebbe azzardato e malevolo credere - così, su due piedi - che si tratti dell'ennesima trovata pirotecnica di Silvio che annuncia e crea il "nuovo" come un'alchimia in laboratorio.
Se e quando Prodi cadrà, saranno già pronti loghi, simboli, inni e Weltanshauung del Partito del Popolo della Libertà. Il solito "nuovo che avanza", insomma. Che continua ad avanzare (fin dalla Prima Repubblica) e nessuno si è accorto della data di scadenza. Buon appetito a tutti!
PS: ah - per inciso - proprio oggi i giudici della prima sezione del tribunale di Milano hanno decretato il "non doversi procedere per intervenuta prescrizione" in relazione all'accusa di falso in bilancio a carico di Silvio Berlusconi e del presidente di Mediaset Fedele Confalonieri.
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sabato 17 novembre 2007
senza titolo
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mercoledì 14 novembre 2007
Kant e l'apetta. Cronache da un tempo di casuale follia.
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Guardo quel che resta di due interi quartieri romani, il giorno dopo la stupida morte di Gabriele Sandri e la conseguente furia degli ultras per le vie della capitale. C'è una foto. Una soltanto, che mi colpisce. Un'Ape Car rovesciata per strada. |
Chi conosce un po' Roma sa che in quel lato lì della città (incastonato nel cuscino residenziale e benestante dei quartieri Prati, Trionfale, Cassia e Flaminia) sarebbe più facile trovarvi parcheggiata la jeep di Bin Laden che un commovente modello arrugginito del mitico Treruote. Eppure è lì, a terra, angustiato dalla “rivoluzione pret a porter” degli ultras contro tutti i celerini e i carramba del reame. Se fossimo in un romanzo di Irvine Welsh, questo ennesimo capitolo si intitolerebbe “teppa della Corea”. Se fossimo in un film con Tomas Milian, quell'apetta apparterrebbe al commissario Giraldi, o al massimo a un tipo di nome Spartaco che l'indomani si sveglia alle 4 (di notte!) per andare a caricare frutta ai mercati generali. Sto scrivendo questo articolo per un magazine a diffusione adriatica (si chiama Modus Operandi). Quando queste parole andranno in stampa, saranno passate alcune settimane dall'assurda morte di Gabbo Dj, uno che sonnecchiava tranquillamente in un'auto ferma all'autogrill e si è ritrovato un pallottola tra i sogni. Difficilmente i media staranno ancora parlando di quella inquietante domenica di San Martino, in cui il Caso si è divertito a generare un domino di stupidità e violenza.
Stupidità perché prima ancora che si conoscesse l'esatta dinamica dell'accaduto, i primi collegamenti televisivi dall'autogrill Badia al Pino già parlavano di “tafferugli tra tifosi e polizia: 1 morto”. Violenza, perché è quella che attanaglia l'animo e le strade di chi resta. Un'incredibile cabala e carambola di errori ed equivoci, ben condita dalla solita “irresponsabilità diffusa” di molti attori (giornalisti, politici, dirigenti, tifosi). Una combinazione dannata: un poliziotto che incoscientemente si lancia in un intervento che non avrebbe fatto neanche il più esaltato agente della CIA. Sparare ad altezza d'uomo, in una traiettoria che attraversa due carreggiate autostradali in una trafficata domenica mattina. Guardo l'esatta geometria del foro del proiettile. Guardo il Caso in faccia, la simmetrica coincidenza a incastro di tempi e di spazi. E se Gabbo avesse ritardato di un quarto d'ora la partenza con gli amici, per fermarsi a prendere i cornetti al sorchettaro di via Cernaia?! E se il poliziotto che ha sparato si fosse visto meno film di Bruce Willis?! Sono cose che ti chiedi quando - a fine giornata - colleghi mentalmente l'apetta rovesciata a quel buco di nulla lasciato dal foro del proiettile. Potevi esserci anche tu lì, dietro quel buco di nulla, una domenica mattina, rincoglionito di sonno. I tuoi amici a prendere caffè e sigarette al bar, o forse a sfottersi e spaccarsi la faccia con qualche altro teppista della Corea. Di certo nulla di grave. Nulla per cui morire.
 Perché dopo quell'autogrill c'è quello ce hai da fare. Perché c'è sempre qualcosa dopo un autogrill, che è solo un posto in cui transitare, per definizione. Magari stai andando a vedere il Motorshow, o un torneo di cricket a Orvieto. Magari, con i tuoi amici, stai andando a trovare una vecchia zia cardiopatica di Sassuolo. O andate a Cuneo, per un meeting tra collezionisti di francobolli mittleuropei. Ecco cosa mi chiedo: se avessero ammazzato un socio dell'A.F.T. (Associazione Filatelici Trotzkisti) sarebbe successo lo stesso?! Cosa c'entra il calcio, la sicurezza negli stadi e la gestione delle violente tifoserie organizzate? A Badia Al Pino è morto un ragazzo. E' morto per una stronzata (puntare una pistola ad altezza d'uomo) e per un'assurda fatalità: solo un cecchino di Sarajevo (un hezbollah o un marine) riuscirebbe a beccarti alla nuca da quella distanza. Guardi il foro e guardi la stupidità in faccia. E se quel giornalista avesse evitato di dare già la sua diagnosi con tanto di analisi sociologica e introspezione psicologica dell'accaduto? E se nel tam tam di incertezze, le autorità predisposte avessero preso una posizione netta, evitando di creare qualsiasi collegamento tra l'omicidio e il calcio? Cosa (non) sarebbe successo? Quando è stata presa e comunicata la decisione di sospendere Roma-Cagliari, come ogni domenica gli ultras più irriducibili erano già in zona Olimpico. Violenze. Devastazioni. La solita epifania di cori e teppismi. Tutta la mitologia e il sancta sanctorum del movimentismo organizzato di estrema destra. Lo sport è solo un pretesto. So che se chiedessi a uno di quei ragazzini col passamontagna chi sia stato Badoglio risponderebbe senza esitazioni “la mezzala destra del Real Madrid!”. A Natale, molti di loro non ricorderanno neanche il nome del ragazzo morto all'autogrill.
Si chiamava Gabriele. Gabbo Dj. Uno che poteva amare la Lazio, come il fondente e la gnocca. Uno che non c'entrava niente con l'apetta di Spartaco. Spartaco che domani comunque si alzerà alle 4 di mattina, smadonnerà un po' sul suo mutuo a tasso variabile, rialzerà l'apetta cappottata sul selciato e andrà a caricarsi broccoletti e melanzane a Ostiense. 2 euri e 50 ar kilo, signo', pecchè oggi me gira così!
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sabato 10 novembre 2007
fra(m)menti
(...)
Se
ad Annette avessero chiesto dove aveva incontrato Miros, lei avrebbe
sorriso, allargando la dentatura bianca di salvia in una specie di
smorfia che poteva sembare anche uno sbuffo, a prima vista.
Ma
avrebbe sorriso e avrebbe risposto “Davanti alle Tigri”.
Se
qualcuno avesse posto a Miros la stessa domanda, lui avrebbe
continuato a fare quello che stava facendo, magari si sarebbe
portato l'anulare e il medio piegati verso le tempie, come nel gesto
di grattarsi, e avrebbe risposto “da Remi's, all'angolo di una
strada del quartiere turco”.
Annette
è convinta di essersi imbattuta in Miros in un giorno di sole,
tra gli scaffali della biblioteca nazionale.
Miros
pensa a lei e pensa alla pioggia, a un odore di caffè tostato
e curry in sacchetti di iuta, ai vapori pralinati sui vetri del
Remi's.
Miros
chiama questo “sigarette asincrone”.
Si riferisce al fatto che
non hanno mai fumato una sigaretta insieme.
Non è questione di
indifferenza, di rapporto poco empatico, anaffettivo e freudate
simili; no, non c'è bisogno di scomodare nessun luminare della
psicologia di coppia.
Succede.
Accade sempre che ci sia chi l'accenda un attimo prima, chi un
attimo dopo.
Non ci fanno caso, ma succede al tal punto che
entrambi se ne accorgono alla prima boccata e allora si guardano,
sorridono stringendosi nelle spalle, sicuri che la volta dopo uno dei
due avrebbe detto all'altro “è ora che mi accendi una paglia
e ti fermi qui con me”.
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giovedì 8 novembre 2007
campagna per l'abbattimento dell'autostima umana.
L'umanità è sopravvalutata. Innegabile e sacrosanto, per quanto se ne stia scritto sulla t-shirt di Sturmgeist89, il 18enne che ieri ha fatto una carneficina in una scuola della lontana e tranquilla Finlandia. D'altronde, se così non fosse, non avremmo certi "cretini illuminati da lampi di imbecillità" a dirigere nazioni, telegiornali, eserciti o condominii. Nel giorno dei funerali di Enzo Biagi, ci va di pensare che "qualche volta è scomodo sentirsi fratelli, ma è grave considerarsi figli unici".
In attesa che qualcuno ci commissioni una campagna per l'abbattimento dell'autostima umana, l'immaginario va alla scena finale di "Nuovo mondo" di Crialese (il suggestivo bagno nel latte degli emigranti in america). La musica è chiaramente "Sinnerman" di Nina Simone.
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sabato 3 novembre 2007
failure is an option
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venerdì 2 novembre 2007
tuttimorti
Qui non c’è Isidoro Suarez, che comandò una carica di ussari nella battaglia di Junin, che fu una semplice scaramuccia e che modificò la storia del Sudamerica.
Qui non c’è Félix Olavarrìa, che con lui condivise le imprese, la cospirazione, le miglia, l’alta neve, i rischi, l’amicizia e l’esilio. Qui c’è la polvere della sua polvere.
Qui non c’è mio nonno, che si fece uccidere dopo la resa di Mitre a La Verde.
Qui non c’è mio padre, che mi insegnò a non credere nell’intollerabile immortalità.
Qui non c’è mia madre che mi perdonò troppe cose.
Qui sotto gli epitaffi e le croci non c’è quasi nulla.
Qui non ci sarò io. Ci saranno i miei capelli e le mie unghie, che non sapranno che il resto è morto, e continueranno a crescere e diventeranno polvere.
Qui non ci sarò io, che farò parte dell’oblio che è la tenue sostanza di cui è fatto l’universo.
J. L. Borges La recoleta Atlante (1984)
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giovedì 1 novembre 2007
un giorno da barbieri
Piove. Come ovvio che sia. Focolare, castagne, e fuori dai vetri l'idea che il mondo possa avere le forme curve e buffe del giovane Tim Burton. Questo è Vincent, il primo cortometraggio (1982) in cui Burton sperimenta la tecnica della stop motion.
Qui, invece trovate il trailer in lingua originale di "Sweeney Todd: The Demon Barber of Fleet Street", la cui uscita è prevista per il 21 dicembre nelle sale statunitensi. Sito ufficiale del film (abbastanza deludente al momento, almeno per i contenuti): http://www.sweeneytoddmovie.com Trama Sweeney Todd (Johnny Depp)
ritorna a Londra dopo essere scappato da una prigionia illegale,
trovando sua moglie e sue figlio sofferenti sotto le mani del giudice
Turpin (Alan Rickman), l'uomo responsabile della sua prigionia. Con l'aiuto della sua precedente padrona di casa, Mrs. Lovett (Helena Bonham Carter),
Sweeney Todd inizia un piano di vendetta iniziando dagli individui
responsabili della sua sfortuna, finendo con una società tutta dal suo
punto di vista. Il film è ispirato a un celebre musical di Broadway, vincitore di otto Tony Award nel 1979, scritto da Hugh
Callingham Wheeler, famoso giallista noto anche come Patrick Quentin, e con
le musiche di Stephen
Sondheim.
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