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La vecchia radio ha conquistato il popolo della Rete
2heads

da lastampa.it

La seconda vita della radio passa per il web: mentre le frequenze Am si spopolano e quelle Fm sono sempre più affollate, nella Rete il numero delle stazioni radio cresce costantemente. Sono emittenti tradizionali che provano a raggiungere nuove fasce di utenti, oppure realtà esplose con la diffusione della banda larga, necessaria per poter ascoltare musica con una buona qualità audio. La novità, però, è che ora le web radio diventano mobili. Sui cellulari più evoluti, infatti, si moltiplicano i software che consentono di ricevere le trasmissioni via internet così non c’è più bisogno di essere di fronte a un pc per ascoltare la top ten giapponese o le ultime novità underground di New York.


Basta scegliere un genere e via: la musica scorre come se fosse sul telefonino (una volta avremmo detto: sull’iPod), ma è registrata in un hard disk a migliaia di chilometri di distanza. È il cloud computing, la nuvola digitale cui ci si connette da ogni parte del mondo. Il sistema sceglie poi i brani sulla base di algoritmi che analizzano le scelte degli altri utenti, consigliando canzoni nuove o artisti mai ascoltati prima. Ci sono i programmi che alla radio aggiungono la sveglia, per iniziare la giornata con l’emittente preferita. Esistono le applicazioni per ricevere migliaia di canali e quelle dedicate alle singole stazioni (Radio Deejay, Radio Montecarlo e moltissime altre). Poi ci sono quelle interattive: dal telefonino si inviano messaggi in diretta ai conduttori, e altre che permettono di pubblicare su Twitter o Facebook il titolo del brano che si sta ascoltando. Proprio come sul computer.

E in realtà telefonini come iPhone, Blackberry, i modelli Android, Symbian e Windows Mobile sono veri computer: lo streaming di musica non è certo un compito difficile per i moderni processori, ma semmai per le reti mobili. Che sono sempre più sature di dati: quelli dei telefonini multimediali e dei tanti computer portatili e fissi che si connettono al web tramite modem e chiavette 3G. Il rischio del collasso è concreto, tuttavia l’utente medio teme più la possibilità di superare il tetto imposto dal contratto: oltre un certo limite mensile, che varia da operatore a operatore, i costi infatti s’impennano paurosamente.

Eppure le case discografiche spingono per le radio sui telefonini, dove non esiste quasi la pirateria ed è più facile sperimentare modelli di business remunerativi. Non più solo il negozio virtuale che vende file audio come iTunes Store di Apple (il più grande, con oltre dieci miliardi di canzoni vendute dal 2003), Amazon, e da noi Dada e Ibs. Aumentano le offerte di abbonamenti tutto compreso, mentre con Pandora, Last.fm, Spotify e altri servizi, bisogna solo pagare un canone mensile o sorbirsi una breve pubblicità, poi è possibile scegliere tra cataloghi vastissimi, da ascoltare a casa o in movimento. Ma attenzione: per questioni di copyright e di accordi con le etichette questi servizi sono disponibili solo in alcuni Paesi (e in Italia c’è pochissimo).

Per i contenuti digitali si prospetta un’era nuova ma non meno inquietante. Con il cloud computing e le web radio a pagamento, il possesso diventa sempre più limitato e temporaneo: sono i distributori a decidere cosa gli utenti possono fare con la loro musica acquistata legalmente.

Chi vuol essere libero ha un’altra opzione: i telefonini da pochi euro, infatti, incorporano spesso un sintonizzatore Fm incorporato. Proprio come la vecchia radio, che non consuma dati, non si connette a internet, funziona sempre. E non costa niente.

(bruno ruffilli)
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Il successo della radio? Solo perché è morta
dxhome

da lastampa.it

Ancora una volta si torna a parlare della vecchia signora radio. Come sempre per complimentarsi della sua longevità.

In realtà la modernità della radio non è l’ultimo marchingegno che abbia integrata la funzione di poter ascoltare qualcosa che tiene in memoria, o capta nell'etere, o travasa da un server messo chissà dove. La radio ha compiuto un passaggio fatale che ancora le attribuisce un primato assoluto tra gli altri media: la radio è morta. Per la radio morire ha significato liberarsi della pesantezza di un hadware che la definisse. La radio oggi è «indescrivibile» in un oggetto che la rappresenti. La radio è infatti morta per risorgere ovunque ci sia per lei possibilità di essere ascoltata. Il disfarsi della crisalide che storicamente conteneva la sua essenza, ha permesso alla radio di non essere più legata alla triste sorte di sembrare d'antàn, come accade ancora per un vecchio televisore, un vecchio telefono cellulare, un vecchio computer.


E anche vero che nell' uso comune si usi definire evoluzione della radio anche ogni semplice emissione sonora, articolata attraverso una sequenza di brani musicali. In realtà sarebbe più giusto chiamare questa modalità di ascolto una contemporanea filiazione del juke box, o dei tanti riproduttori individuali di musica: dal mangiadischi al walkman, se vogliamo fare un po' di archeologia.


Un canale che trasmetta play list, magari su profilature fatte da analisi di mercato, non può essere definito una radio. Il principio che distingue il far radio da quello di cui stiamo parlando è che la radio si costruisce attorno ad esseri umani che si mettono in gioco con voce e pensiero all' interno di quell' immaginaria scatola parlante.


E' per questa singolare intimità data dall'assenza di condizionamenti esteriori che la radio fu il primo medium ad aprirsi alle voci della comunità degli ascoltatori, forse non è nemmeno azzardato immaginare che il meccanismo coinvolgente del social networking abbia avuto nella radio la sua più illustre antesignana.

(gianluca nicoletti)
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ISORADIO PRESENTA 'LA NOTTE DEGLI INDIPENDENTI'
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(ITALPRESS) - Rai Isoradio, il canale di Radio Rai di servizio privo di pubblicita’, diventa dal 16 luglio, grazie al nuovo programma “La notte degli indipendenti”, anche la casa dei tanti artisti, festival, promoter, club, circoli, videomaker, editori alternativi, web radio e netlabel che non hanno voce sulla scena dei grandi network nazionali. Il programma, a cadenza settimanale in collaborazione con MEI, andra’ in onda il venerdi’ fra le 00.30 e le 5.30 del mattino del sabato, la notte di maggiore mobilita’ del mondo giovanile. In tutto 40 puntate nell’arco di 11 mesi con esclusione delle festivita’. La conduzione e’ affidata a Gennaro Iannuccilli. Cinque ore notturne destinate a diventare un evento per quel popolo di giovani che non si riconoscono nella musica commerciale e che animano i tanti percorsi e circuiti della produzione musicale “altra”. La trasmissione si presenta come un grande evento musicale nel corso del quale sara’ possibile ascoltare i “Top 100″, ovvero i cento migliori brani segnalati, individuati e selezionati tra le produzioni indipendenti attraverso il circuito dei nuovi media, delle autoproduzioni, dei concerti nei circoli e nei club, dei festival, delle web tv e radio, le tante rassegne e concorsi.
Non solo musica pero’, visto che una delle peculiarita’ del programma saranno i numerosi messaggi mirati alla sicurezza stradale e ai giovani, che si collocheranno all’interno di 10 moduli della durata di 27 minuti ciascuno diversificati per generi musicali: la canzone d’autore, il pop, il rock, il jazz-funky-blues, l’elettronica e dance, il nuovo folk e il reggae, l’hip-hop e altri generi musicali. In studio Gennaro Iannuccilli si avvarra’ della presenza di piu’ ospiti per accompagnare i giovani sulle strade d’Italia e negli spostamenti tra i locali notturni. Periodicamente, all’interno del programma trovera’ spazio il rapporto tra “musica e territorio” per approfondire la produzione musicale delle 20 regioni italiane.
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Lelio Luttazzi è nella Hit Parade
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da LaStampa.it

«Lelio Luttazzi presenta: Hiiit Pareeeeid», e i ragazzini di fine Anni '60, primi '70, correvano a casa a sentire la radio, i più temerari si portavano il transistor finanche a scuola. Non si voleva perdere nemmeno una nota del programma che cominciava alle 13,30. Tutti ad ascoltare quelle canzoni che lui presentava con voce stentorea e massimo rispetto e che si contendevano i posti in classifica, «tu mi fai girar come fossi una bambola», «acqua azzurra acqua chiara con le mani voglio finalmente bere», «In the Summertime» e i Mango Jerry. Luttazzi era nato il 27 aprile del 1923: lui, che con i giornali non aveva sempre avuto ottimi rapporti, se n'è andato in sordina, vedi il caso, proprio nel giorno del loro silenzio. Il presidente Napolitano l'ha definito «artista raffinato e grande compositore», al RomaFictionFest è stato ricordato dal direttore artistico Steve Della Casa e da Luca Barbareschi, produttore del film tv «Le ragazze dello swing», dedicato al Trio Lescano e alla persecuzioni che le tre ragazze, ebree, subirono. Luttazzi «era» lo swing, e il padre di Barbareschi aveva suonato con lui. La vita gli aveva lasciato le sue ferite, la carriera stroncata quando fu coinvolto ingiustamente in vicende di droga. Storie che nella Rai ancora puritana del monopolio, e di diversa, ma non inferiore ipocrisia, lasciavano il segno. Era la Rai che per un po' impedì a Mina di cantare perché aveva avuto un figlio senza essere sposata. Luttazzi si era ritirato, da due anni abitava nella sua Trieste, «Perché el xè un can de Trieste e ghe piase el vin», era uno dei suoi cavalli di battaglia. Schivo e solitario, era ritornato sul palcoscenico del Festival di Sanremo per accompagnare al pianoforte Arisa: il suo swing davvero aveva incantato le platee e sostenuto il successo della giovane cantante. La musica per Luttazzi era fondamentale, fu tra i primi a inserire nella canzone italiana le strutture del jazz. Alla radio fu grande con «Hut Parade», lavorò per il cinema: ma la prima generazione cresciuta con la tv lo ricorda soprattutto come conduttore. Di «Studio Uno», essenzialmente, quel glorioso bianco e nero, elegantissimo e seducente, che faceva da cornice ai varietà. Varietà che duravano un'ora, che costavano tantissimo, e per i quali si provava un'intera settimana. Era una televisione di grandi ospiti e di grandi brani, lui suonava il pianoforte, e i non-colori abbagliavano di contrasti. A rivederli adesso, quei programmi, ci struggiamo per la classe e la professionalità. Forse però cambieremmo canale, poiché l'andamento lento non lo sopportiamo più. Anche per questo Luttazzi si era allontanato. Con quel suo carattere tenace, lento e roccioso, la fretta compulsiva aveva tutta l'aria di essere incompatibile.
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Autisti: ascoltare la radio è peggio che bere
autisti


Ascoltare la radio in macchina mentre parla di sport, può influenzare gli autisti più dell'ubriachezza, secondo una nuova ricerca.

Uno studio britannico ha scoperto che gli automobilisti che ascoltano partite di calcio, di cricket o di altri sport, seguendo loro squadra del cuore hanno tempi di reazione del 20 per cento più lenti del normale, il 10 per cento più lenti rispetto a quando si guida con un tasso di alcol nel sangue di 80mg/100ml o dello 0,08 per cento.
Lo studio ha seguito le reazioni di 18 partecipanti uomini e donne di età compresa tra i 25 e 45. Durante le prove ci sono stati quasi il 50 per cento gli incidenti in più nelle frenate, mentre i piloti ascoltavano i commenti sportivi alla radio, rispetto a coloro che erano alla guida senza fattori di distrazione.
Preoccupano anche altri fattori di distrazione in chi guida, come lo stress e il prendersi cura dei figli.

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