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ETIOPIA, TRE STAZIONI RADIO PER GLI ALLEVATORI
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Addis Abeba, 30 mar. - Per tenere aggiornati gli allevatori sugli sviluppi recenti della zootecnia le autorita' di una regione meridionale dell'Etiopia hanno pensato all'efficacia e alla capillarita' territoriale che solo la radio puo' offrire. Per questo nella 'Regione delle Nazioni, Nazionalita' e Popoli del sud' sono attualmente in costruzione tre emittenti radiofoniche che trarsmetteranno nelle 14 lingue locali per raggiungere le comunita' agro-pastorali della zona.
Il portavoce del dipartimento regionale dell'Istruzione, Derese Getasa, ha annunciato che le nuove stazioni radio trasmetteranno dalle localita' di Mizan, Wolaita e Sidama. (AGI)
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Somalia: arresti a "Radio Shabelle", mandato di governo esteso per un anno
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Il direttore e l’editore dell’emittente locale ‘Radio Shabelle’ sono stati arrestati dalle forze per la sicurezza nazionale. Lo riferiscono radio e quotidiani aggiungendo che Abdirashid Omar Qase e Abdi Mohammed Ismail – rispettivamente direttore ed editore di una stimata e riconosciuta voce dell’informazione somala – sono stati prelevati dalle rispettive abitazioni e interrogati riguardo ad alcuni servizi trasmessi dall’emittente.

In particolare, i servizi in questione riferivano che il presidente Sheikh Sharif Ahmed non aveva potuto visitare la linea del fronte a Mogadiscio dopo che il suo convoglio era stato pesantemente attaccato dagli ‘Shebab’. La questione della sicurezza nella capitale somala resta un punto dolente per l’amministrazione. Ieri, il segretario generale della regione di Benadir ha detto che il mercato di Bakara, principale snodo commerciale della capitale “è diventato un mattatoio in cui decine di civili innocenti perdono la vita”. Il mercato, le cui attività sono sospese da circa un mese, è stato spesso in passato epicentro di combattimenti tra soldati e insorti anti-governativi. I cittadini denunciano che la sua chiusura ha provocato una aumento esponenziale dei prezzi dei beni di prima necessità nelle ultime settimane.

Sul fronte politico, intanto, i ministri hanno approvato l’estensione del mandato del governo federale di transizione per un altro anno. Il voto del consiglio, di fatto, prolunga il mandato dell’esecutivo fino all’agosto 2012 in un clima di strisciante crisi istituzionale aperta dalla decisione del parlamento di estendere l’attuale legislatura di tre anni. Una mossa bollata come “anticostituzionale” dal presidente Sheikh Sharif Ahmed e dal primo ministro Mohammed Abdulahi Mohammed.

Ma il vero scontro istituzionale, riferisce l’emittente ‘Radio Shabelle’, si consumerà in occasione delle prossime elezioni presidenziali, in agosto, quando il presidente del parlamento Hassan Sheikh Aden cercherà di far succedere un ‘suo’ candidato alla guida del paese.

In vista della scadenza elettorale, Sheikh Aden ha annunciato la creazione di un comitato responsabile di organizzare lo svolgimento del voto che si terrà, per ragioni di sicurezza, nella sola capitale Mogadiscio. “I membri della comunità internazionale monitoreranno il voto” ha detto il presidente del parlamento, che non ha ancora confermato le voci relative ad una sua candidatura.

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Ecomedia condannata per comportamento antisindacale

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comunicato stampa di Associazione Stampa Romana

Il Giudice del Lavoro Dottoressa Irene Ambrosi ha condannato per comportamento antisindacale la Società Ecomedia S.p.A. rappresentata dall’Amministratore Unico Marco Lamonica. Il Magistrato ha così riconosciuto la fondatezza delle accuse sostenute dall’Associazione Stampa Romana attraverso l’avv. Bruno Del Vecchio che aveva promosso la causa per violazione dell’art. 29 del Contratto Nazionale di Lavoro FNSI-Aeranti Corallo. Ecomedia S.p.A. aveva infatti proceduto alla trasformazione di un contratto da tempo indeterminato a collaborazione e, nonostante gli avvertimenti dell’ASR, al licenziamento di due colleghe giornaliste senza il previsto confronto con l’organismo sindacale di base.

L’Associazione Stampa Romana esprime soddisfazione per il ripristino della legalità contrattuale, ma nello stesso tempo ritiene che Ecomedia debba ritirare i due licenziamenti e, ottemperando alla sentenza del Tribunale, aprire immediatamente un tavolo di confronto sulla situazione dell’azienda e sulle prospettive della stessa. Un passaggio ancor più eticamente necessario visto che siamo di fronte ad una emittente che usufruisce del contributo pubblico per le testate di idee, di partito o in cooperative.

L’ASR dichiara sin da ora, come del resto ha sempre fatto, la propria disponibilità a un confronto di metodo e di merito che salvaguardi il futuro dell’impresa, ma allo stesso tempo le prerogative, i diritti e le professionalità dei giornalisti, purché ciò avvenga all’interno del  quadro legislativo, contrattuale e delle prassi che da sempre governano delle corrette relazioni industriali e che Ecomedia ha fin qui ampiamente violato e disatteso. Con altrettanta chiarezza l’ASR avverte che non tollererà ulteriori atti unilaterali che vadano a danno dei lavoratori e del sindacato.

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Libia, radio Bengasi punta sul rap: così si mantiene alto il morale dei ribelli
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Tripoli, 16 mar. - (Adnkronos/Aki) - Ci sono i leader dei ribelli, che emettono proclami per la lotta a Gheddafi invitando ''a lottare fino alla morte'', e ci sono due musicisti che, con il loro rap trasmesso da radio Bengasi, sono scesi in campo per tenere alto il morale degli oppositori, sempre piu' marginalizzati dall'avanzare dell'armata verde.

''Il rap non puo' cambiare fisicamente le cose, ma rinvigorisce gli animi della gente che lotta e manda un messaggio a tutti i libici'', spiega Imad Abbar, 16 anni, seduto sul patio della sua casa a Bengasi, ultima roccaforte dei ribelli e sede del Consiglio nazionale libico. Appassionatosi del genere musicale in Italia, dove ha vissuto per un periodo con il padre, Imad ha iniziato a incidere una volta rientrato a Bengasi insieme ad Hamza Sisi.
E la loro canzone scritta in arabo per la rivoluzione, 'Shamat Al-Medina', ovvero le 'Candele della citta'', recita cosi': ''Le candele della citta' brillano per dire al mondo quello che vogliamo, le candele della citta' non si daranno pace e non si spegneranno, il sangue dei combattenti e' il nostro sangue, non ci arrenderemo fino a quando il regime non cadra'''.

Hamza coltiva la passione per la musica rap dal 2004, mentre Imad ha iniziato ad appassionarsi al genere in Italia, dove ha vissuto per cinque anni con il padre che aveva un gruppo musicale. I due si sono conosciuti quando Imad e' tornato in Libia e si e' trasferito a Bengasi, oggi roccaforte dei ribelli contro Gheddafi. I due registrano le proprie canzoni in uno studio amatoriale, con una tastiera e un computer, nella casa di Hamza.

Sono diversi, spiega Imad, i giovani che si stanno dedicando al rap a Bengasi, Tripoli e in altre citta, ma ''pochi'' fanno realmente buona musica. Questo genere musicale, spiega, e' comunque un fenomeno relativamente nuovo in Libia e il regime di Gheddafi non ne e' entusiasta.
Il cantante, 22 anni, spiega di ''avere amici che hanno combattuto a Bengasi e altri che sono ora al fronte. Sono loro che mi hanno chiesto di scrivere questa canzone''. Il giovane, vestito con jeans, giacca e scarpe da ginnastica, dice che ''le mie parole stanno raggiungendo il fronte e danno coraggio alla gente''.

Nonostante sia orgoglioso che il suo rap sia trasmesso dalla radio di Bengasi, una delle emittenti libere che opera in citta' da quando e' iniziata la rivoluzione il 17 febbraio, Hamza dice che il suo contributo nella rivolta libica ''non e' molto'', spiegando che avrebbe preferito unirsi ai ribelli e combattere contro le truppe di Gheddafi. ''Vorrei combattere, ma siamo solo due fratelli e uno di noi e' gia' al fronte. Per questo devo stare a casa e occuparmi della mia famiglia'', ha spiegato.

''In passato, era molto difficile. Chiunque esprimesse qualcosa contro il regime, passava il resto della sua vita in carcere'', spiega Imad. ''Con la rivoluzione abbiamo potuto esprimere quello che sentiamo e questo e' quello che fa anche il rap, esprimere cio' che senti. E ora non siamo preoccupati'', ha aggiunto.

''Il futuro e' in mano ai giovani'', dice Hamza, augurandosi che un giorno la loro voce raggiunga il mondo intero. ''Vorrei cantare in altri Paesi della regione e in Europa, ma per il momento preferisco farlo in Libia e sostenere i miei fratelli che stanno combattendo''.
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Sospeso nel vuoto per salvare Radio Castel Bolognese
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E’ rimasto per sette ore appeso all’antenna di Rcb, Radio Castel Bolognese, per protestare contro la chiusura dell’ultima radio libera della provincia di Ravenna. Gabriele Rambelli, 43 anni, da 15 anni a Rcb.

Ieri mattina, alle 9 ha indossato un’imbragatura e ha ‘scalato’ l’antenna della radio castellana, per poi rimanervi appeso nel vuoto fino al pomeriggio. «Va tutto bene - dice rispondendo al telefonino - inizia a dare un po’ fastidio l’imbracatura, ma va bene. Non piove e fortunatamente non ci hanno spento i ripetitori. E i nostri ascoltatori ci sono vicini: ci stanno inondando di messaggi via sms, facebook e telefonate».

Rambelli è appeso all’antenna, è solo lui perché la struttura non regge il peso di più persone, per protestare contro la vendita di Rcb a una grande radio emiliana. Fra un intervento e l’altro alla radio riesce a parlare coi molti giornalisti che lo tempestano di telefonate e le forze dell’ordine che da sotto vigilano sulla sicurezza della protesta. Per ore appeso a una corda, niente per l’uomo che nel Natale del 2000 è finito sul Guiness dei primati per la più lunga trasmissione radiofonica, oltre 80 ore di parole al microfono.

«Radio Castel Bolognese è nata nel 1978, ha 33 anni ed è una delle radio liberi più vecchie. E’ una cooperativa formata da soci e soci lavoratori. Se fosse venduta, la radio verrebbe chiusa perché agli acquirenti interessa la frequenza, la spostano sul loro ripetitore e qui non rimane nulla. I dipendenti perdono il lavoro, gli ascoltatori l’informazione locale».

«Chi vuole vendere, il presidente e il vicepresidente della cooperativa in primis — aggiunge Rambelli — sostiene che la radio ha subito delle perdite. Noi, soci lavoratori invece abbiamo dato la nostra disponibilità a rilevare l’emittente e farci carico dei debiti. Ma chiediamo di vedere questi conti che non tornano, a noi non ci risulta affatto che sia una situazione particolarmente pesante. Anzi nell’ultimo anno abbiamo registrato una vera impennata degli ascolti. Il nostro destino si deciderà nel consiglio del 21 marzo».

Impennata di ascolti a cui non è corrisposta un’impennata delle entrate pubblicitarie secondo il presidente Floriano Farina. «I problemi dei conti ci sono – afferma - anche noi come tutti abbiamo subito gli effetti della crisi che si sono concretizzate in un calo della pubblicità. Dicono che non abbiamo fatto vedere i conti, fra poco ci sarà l’assemblea per l’approvazione del bilancio, i conti li conoscono. Con loro a protestare c’è anche la nostra responsabile amministrativa della radio, se non la conosce lei la situazione … Per quanto riguarda gli ascolti, non mi occupo da tempo di questo. Ma al di là del baccano sarà l’assemblea dei soci a decidere cosa fare, se la maggioranza dice che intende vendere si venderà e certo quel punto la radio chiuderà».
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Emergenza giapponese, tecnologie in tilt, resiste la radio
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Nella catastrofe naturale sono andati in crisi i mezzi di comunicazione, ad eccezione della radio.


Si parla molto della straordinaria compostezza con cui il popolo giapponese sta affrontando i giorni più terrificanti della sua storia recente. Quella gente è davvero ammirevole e sicuramente merita tutta la nostra solidarietà.

Abbiamo appreso che a seguito della catastrofe, le reti di telefoni cellulari sono andate fuori uso nel giro di qualche minuto – sia per danni alle infrastrutture, sia per sovraccarico.  C’era da aspettarselo: sperare che una rete cellulare rimanga in piedi dopo avvenimenti del genere è pura illusione. La rete Internet, specialmente nelle zone devastate, è scomparsa nello stesso momento e le famose notizie via Twitter o via Facebook, di cui si è parlato abbastanza a sproposito, venivano da Tokyo o da località comunque non del tutto distrutte. La TV trasmetteva, ma anche in questo caso dove c’era più bisogno di notizie e istruzioni non esistevano più né i televisori né l’energia elettrica.

Ancora una volta, ad aiutare chi è riuscito a scampare al terremoto e allo tsunami c’è voluta la semplice, umile e tanto “obsoleta” radio. Si vedono spesso, nei filmati che passano in queste ore su tutte le TV del mondo, persone con l’orecchio incollato alla radiolina e intorno altra gente in circolo, attenta, riunita attorno alla voce che rappresenta la speranza e forse la salvezza.

Nei prossimi giorni, sempre che non succeda di peggio, in Giappone si dovrà vivere al ritmo dei black-out pianificati nella fornitura dell’energia elettrica. Tutti sono inoltre invitati a consumare il minimo di energia possibile, e c’è da essere certi che lo faranno in maniera rigorosa. Anche lasciando spenti televisori al plasma, 3D, HD e WideScreen per ascoltare le informazioni attraverso il meno vorace apparecchio radio.

L’ industria giapponese, che si considera e viene vissuta come patrimonio della comunità e non si tira indietro quando c’è da dare una mano, sta facendo la sua parte. La  Sony per esempio ha già stanziato 300 milioni di Yen da destinare ai soccorsi e distribuito 30.000 apparecchi radio. Piccole, efficienti, semplici radio a transistor, di quelle che con tre batterie da un volt e mezzo vanno avanti per giorni e funzionano anche quando intorno tutto è buio, quando nelle metropoli si accendono le candele, quando una voce può salvare dalla disperazione chi è solo o costretto nei centri di accoglienza.

Non è poco. Quello di Sony è un gesto che dimostra intelligenza, sensibilità e – diciamolo – per una volta attenzione alla persona anziché al consumatore. Ne sono lieto; per l’ insostituibile radio, che una volta di più dimostra l’ imbecillità e l’incoscienza di chi smantella emittenti, e per la Sony che dimostra di sapere quali sono le cose importanti quando il business passa in secondo piano.

Enrico Oliva
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Intervista: La radio dei matti, una storia dall'Argentina

Buenos Aires, 1991: un ospedale psichiatrico inizia a trasmettere un programma gestito dai pazienti. Dopo vent'anni va ancora in onda. Il regista spagnolo Carlos Larrondo ne ha tratto un documentario. "La linea tra pazzia e ragione si può superare"

Radio La Colifata

Podcast:
http://www.radioarticolo1.it/audio/2011/03/11/7620/siempre-fui-loco-incontro-con-carlos-larrondo-regista-di-lt22-radio-la-colifata

 

“Vogliamo che nelle loro menti, gli espropriati, i dimenticati, i poverissimi, si rendano conto di avere dei diritti.
Che si sveglino dalla loro paralizzante angoscia e protestino,
perché ci sono leggi costituzionali delle Nazioni Unite per i diritti,
per la cultura, per la casa, per l'alimentazione, per la salute.

Niente elemosina, l'elemosina è degradante,
l'elemosina è merda, è immondizia! Morte all'elemosina, cazzo!

E la povertà non viene dal cielo né è stata provocata da nessun Dio,
né greco, né cattolico, né altro.

La povertà la provocano gli esseri umani, gli avidi, i degenerati e i crudeli.

A loro dico: "Signori, svegliatevi!
fate arrivare luce nei vostri cervelli, figli di puttana"

 

José, conduttore di Radio La Colifata

 

 

Una radio "suonata". Animata da una banda di matti. Siamo nel centro di Buenos Aires, Ospedale Neuropsichiatrico José Borda. Nel giardino della clinica, ogni sabato pomeriggio a partire dalle 14.30 partono le trasmissioni di Radio La Colifata, un progetto nato quasi 20 anni fa dall’idea del dottor Alfredo Olivera.

Il nome deriva dal termine colifato (matto, suonato) parola mutuata dal lunfardo, il dialetto della capitale argentina.

La radio nasce il 3 agosto 1991 per riabilitare i pazienti dell’istituto, che gestiscono direttamente le trasmissioni, ma anche per favorire un’apertura maggiore ai problemi legati alla demenza. E’ infatti opinione comune  che gli internati degli ospedali psichiatrici siano soggetti pericolosi, un pregiudizio che viene presto meno ascoltando l’emittente.

Proprio sull’esperienza di Radio La Colifata, il regista spagnolo Carlos Larrondo ha realizzato un documentario che, come l’emittente,  intende dar voce agli ultimi e dare una spallata alla psichiatria tradizionale per dimostrare che chiunque può oltrepassare, in qualsiasi momento, la linea che separa la pazzia dalla ragione.

Abbiamo incontrato Carlos Larrondo, a Roma, in occasione della presentazione del suo film.

 

Quali espedienti hai utilizzato per trasferire su pellicola un medium senza immagini come la radio?

La sfida era riuscire a trasmettere lo spirito di Radio La Colifata al pubblico. Sono stati necessari molti anni di riprese e di editing per ottenere un linguaggio che rendesse merito alla qualità artistica dell’emittente.

 

Come sei venuto in contatto con la realtà di Radio La Colifata?

Si tratta di un lavoro durato oltre 11 anni. Sono entrato al Borda per la prima volta nel 1996, grazie a una mia amica che faceva il tirocinio nell’ospedale. Mi aveva raccontato a lungo di questa radio, degli ospiti della clinica e dei suoi pazienti così interessanti. Loro stessi mi hanno dato molti input per il mio lavoro, ma soprattutto mi hanno contagiato con l’entusiasmo necessario a imbarcarsi in un’impresa del genere.

 

Nel tuo film non si vedono medici...

Era una delle condizioni poste dai pazienti dell’ospedale. L’unico medico, uno psichiatra, è Alfredo Olivera con cui raccontiamo la storia e spieghiamo le finalità dell’emittente. Però è l’unica licenza che mi sono preso nel film.

Per me era importante dare parola agli ospiti della clinica, come fa la radio. Esprimere il loro punto di vista: non quello dei medici, non quello istituzionale.

Per questo non ci sono dottori che dissertano sulla pazzia. Esclusivamente Alfredo Olivera, perché è lui che ha dato vita a questo progetto.

 

Quali caratteristiche degli ospiti del Borda hai cercato di mettere in evidenza?

Penso che l’aspetto più importante sia la voglia di vivere. Il desiderio di trasformare la sofferenza in qualcos’altro. In felicità, pace, solidarietà, amicizia.

L’infermità mentale produce sofferenza, una sofferenza che credo possa essere convertita in qualcosa di diverso.

E’ questo che ho tentato di trasmettere agli spettatori. Si può anche parlare di qualcosa che non si conosce senza scomodare la politica, la sociologia, i diritti umani o la salute mentale.

 

Le musiche del tuo film sono curate da Manu Chao.  

Manu lo conosco dai tempi in cui vivevo a Barcellona. Ci frequentavamo in situazioni informali. Gli feci vedere il mio corto sulla radio. Lui ne restò affascinato. In quel periodo aveva in mente di incidere un disco con dei musicisti di strada di Barcellona e mi chiese se poteva intitolarlo Radio la Colifata.

Io gli passai le voci che avevo registrato in Argentina e lui è riuscito a mixarle molto bene. Siempre fui loco è una compilation prodotta nel 2002, distribuita e venduta proprio per le strade di Barcellona.

E’ indubbio che questo progetto ha dato a Radio La Colifata un impulso mediatico molto importante.

 

La collaborazione tra Manu Chao e Radio La Colifata si è trasformata in un concerto emozionante che tu racconti molto bene nel tuo film.

Quando sono tornato a Buenos Aires per completare le riprese, Manu ha voluto conoscere questa gente. Ha curato lui la colonna sonora ed è diventato uno dei protagonisti del video.

Negli anni Manu  ha realizzato una serie di dischi con gli ospiti del Borda. Sono album che si possono scaricare gratuitamente su internet, e se si vuole si può lasciare una piccola offerta per la radio.

Il concerto a Buenos Aires è solo una trasposizione dell’idea di Siempre fui loco: la musica di Manu Chao unita alla voce dei pazienti del Borda.

 

Il progetto di Radio La Colifata ti ha permesso di girare i mondo. Hai documentato altre radio terapeutiche, raccontando esperienze simili anche in Italia, Francia, Spagna... 

Il progetto di Radio La Colifata è un modello replicabile. Ormai ce sono tantissime in altre città come Barcellona, Tolosa, Mantova. Ce ne sono in Germania, Svezia, Spagna, Messico, Brasile, Ecuador, Cile, Uruguay e Argentina. Tutte emittenti sorelle de la Colifata.

 

Quando hai iniziato a lavorare a questo progetto, nel 1996, come hai trovato i fondi?

Mi autofinanziavo. L’ho fatto fino al 2004 finché non ho trovato un produttore.

A Barcellona ho incontrato Loris Omedes, della Bausan Films,  che produce cinema indipendente e molti documentari su tematiche sociali.

A Loris piacque molto il mio progetto. Ci serviva un co-produttore: ci ha dato una mano Antón Reixa della Filmanova, poi si è aggiunta la televisione spagnola.

Per loro si è trattato di un piccolo investimento, ma che ha avuto un grande ritorno dal punto di vista umano e della partecipazione.

 

Il tuo film è un ottimo spot del lavoro che si svolge all'interno del Borda. Come è stato accolto a Buenos Aires?

A Buenos Aires Radio La Colifata è molto conosciuta. Però a livello politico non è stato facile far circolare il film. Questo perché nei circuiti ufficiali non c'è alcun interesse a mostrare questi aspetti dell'Argentina, di Buenos Aires, di una realtà come l'Ospedale José Borda.

Il film ha partecipato solo ad un piccolo festival indipendente e non è stato distribuiti attraverso circuiti ufficiale.

Al contrario, già qualche anno dopo aver terminato il lavoro, continuo ad essere invitato in festival internazionali.

 

Sono altri allora gli interessi che ruotano attorno al Borda?

Da molti anni il Borda si trova al centro di un’imbarazzante questione politica. L'amministrazione della città vuole demolirlo per via della speculazione immobiliare. L’ospedale, infatti, occupa molti ettari di terreno nel centro della città, in una zona che negli ultimi anni si è molto rivalutata.

Ovviamente la comunità del centro di salute mentale fa di tutto per scongiurare questa eventualità. Per il momento il progetto è in stand-by, ma se venisse portato avanti ci sarebbero mille e più persone che non saprebbero più dove andare.

 

Pensi che ci sia spazio per un cinema che tratta temi sociali?

Sì, certo, ma non nei circuiti di massa. Ci sono film che trovi su internet, ma non in cartellone. Ci sono una miriade di pellicole che non interessano alla grande distribuzione. Puoi vederle in piccole sale dove però si trova gente interessante.

Usufruire del cinema in modo diverso è possibile, ma bisogna intercettare questa rete di distribuzione alternativa. Allo stesso tempo oggi non è facile finanziare i progetti cinematografici. La crisi ci insegna che le prime spese che i governi tagliano sono quelle per la cultura, l'istruzione, la salute...

Non mi interessano i progetti megalomani. Spendere milioni per realizzare una pellicola mi sembrerebbe assurdo, crudele e cinico. Le mie pellicole solitamente costano intorno ai mille euro. La mia è una scelta di vita...

 

***

Anche in Italia esistono progetti simili a Radio La Colifata. Basta cercare Radio Fragola a Trieste e Rete 180 a Mantova.

 

Se passate da Buenos Aires non dimenticate di fare un salto all’Ospedale José Borda. L’ingresso è libero e potrete seguire in diretta le trasmissioni.

Appuntamento ogni sabato a partire dalle 14.30. Ovviamente potete collegarvi anche in rete all’indirizzo www.lacolifata.org. Occhio però al fuso orario.


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