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I nomi e i cognomi dei morti

207922_1943219508423_1960439_nIl testo che segue è tratto dal capitolo "Aegle dans les champs" del romanzo di Lorenzo Pierfelice "Il circo errante dell'equilibrio" (2013, Zero91)

[...] Quale fosse la sottile coerenza, la legge metafisica, che reggesse la città di libri del custode, Annette lo scoprì qualche settimana dopo, mentre correva trafelata ad una lezione universitaria.

Dall'altro lato della strada, aveva notato la sagoma di Miroslav, nella nebbia mattutina, passeggiare rasente il muro del cimitero degli slavi, a pochi passi dal quartiere dove lei abitava.

Bastarono pochi secondi perché le si formasse un insopportabile groppo in gola: non doveva essere a lavoro a quell'ora? Cosa ci faceva dal lato opposto della città? Sembrava un turista, per strade di cui mai le aveva parlato.

Era terrorizzata all'idea che da un momento all'altro potesse materializzarsi davanti ai suoi occhi il più classico degli epiloghi di ogni storia d'amore. Era stata una stupida a non insistere perché il passato dell'uomo uscisse da quell'alone di mistero in cui era avvolto. Lei gli aveva raccontato tutto degli uomini che lo avevano preceduto, della sua famiglia, di suo padre il capraio, dei suoi studi e di come si sarebbe vista da lì a dieci anni. Lui era sempre stato restìo a rendicontarle di come fosse arrivato al gabbiotto della biblioteca nazionale, di quali donne avesse amato, di chi fossero i suoi genitori. Avevano iniziato a vivere un presente intriso di sesso e letteratura, quella piacevole zona che andava dalle quindici alle diciannove di ogni sacrosanto giorno, chiudendosi alle spalle il mondo che li sovrastava e tutti i giorni che erano venuti prima. Le spesse pietre del seminterrato di Mustakì, le pareti foderate di libri, avevano attutito e smorzato i rumori esterni.

Quando lo vide fermarsi a due passi dal seno prorompente della fioraia, una quarantenne dai lisci capelli corvini, e sorriderle come se si conoscessero da sempre, di colpo l'intera schiera di lettere, pietre, legni e parole del seminterrato le caddero sulle spalle e lei si nascose dietro il muro del cimitero.

Non essere stupida! - pensò – Sta solo comprando fiori.

Il peso dell'intera letteratura mondiale tornò di nuovo a crollarle addosso, però, quando vide l'uomo sfilare una gerbera arancione dal mazzo e porgerla alla donna che gliele stava vendendo, con canagliesca complicità. Fissò le loro mani indugiare e sfiorarsi avide in uno scambio di banconote e monete.

Poi, lui sparì dietro una rugginosa cancellata e si avviò tra le tombe.

Al diavolo la lezione all'università! Anche lei oltrepassò le mura e prese a seguirlo, a debita distanza. Il suo era quasi un lento girovagare senza senso tra le lapidi e i cipressi. Era curiosa di vedere su quali nomi si posassero le gerbere che l'uomo cullava tra il petto e le braccia. Magari avrebbe scoperto che faccia avessero suo padre, sua madre, qualche sua vecchia zia.


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Niente. L'uomo vagava dinoccolato tra i marmi e le pietre tombali, soffermandosi a volte come se avesse scoperto un parente o un vecchio amico d'infanzia, chinandosi a scrutarne i tratti nell'ovale della foto, quasi bisbigliandone il nome tra sé e sé.

Poi, d'un tratto pareva come illuminarsi e allora sfilava un gambo dal mazzo e lo adagiava sulla lapide. Restava qualche secondo in contemplazione della foto, poi estraeva di tasca il moleskine e scriveva qualcosa.

Andò avanti per un bel po'. Scorreva tutte le iscrizioni sui marmi, a volte si fermava, depositava un fiore, riprendeva il moleskine e scriveva poche righe.

Quando l'uomo varcò di nuovo la ruggine del cancello e si rituffò nella città, Annette rinunciò a verificare se si fosse fermato dalla fioraia e a passo svelto corse verso le tombe omaggiate dalle gerbere.

La prima ritraeva, in bianco e nero, un uomo sulla cinquantina, con sottili baffetti alla sparviera e un grande cappello nero in testa.

Miroslav Pandev (Mirza) 1935 – 1992

Il fatto che avesse lo stesso nome, ma non il cognome, le fece pensare che potesse trattarsi del nonno materno, o di uno zio.

La tomba successiva era quella di una donna Lucilla Varenuchka, quasi coetanea dell'altro (1930 – 1989). Seguiva le sature tonalità rossastre delle gerbere nella nebbia, come un Pollicino tra le briciole.

S'imbatte in tombe di bambini e adolescenti.


Borislav Ganesh

1958 – 1967

Markus Ganesh

1963 – 1970

Emir Kyrgiakos

1975 – 1989


Nel suo percorso tra le lapidi, Miros aveva fatto visita anche a un tale Levan Mecinović, a Irina Ibraimova e Bizu Milijaš e ad almeno un'altra ventina di uomini, donne, vecchi e bambini.

Solo un superstite di un genocidio poteva avere così tanti defunti nella propria famiglia!


Quando Miros, quel pomeriggio, le aveva fatto trovare una gerbera rossa sul cuscino, Annette non poté trattenersi da quella frase che per tutta la mattinata le si era adagiata dentro.

“Grazie...è un avanzo di fioraia davvero bellissimo!”

Mentre in lei si affacciava, inoltre, il macabro pensiero che quel fiore fosse pure un avanzo di lapidi, l'uomo l'aveva guardata per qualche istante con un'espressione confusa, prima che un qualche lume opaco gli balenasse negli occhi.

Continuava a non capire...

“Com'è andata oggi a lavoro?” aveva domandato lei.

“Oggi niente lavoro. Avevamo assemblea sindacale, ma ho preferito fare una passeggiata”

Capì solo allora cosa ci fosse dietro il tono indagatorio e piccato dell'altra.

“Mi hai seguito?”

“Non eccessivamente” rispose lei sorridendo “Ho seguito ben poco...Diciamo che mi sfugge la linea logica...Ma quanti defunti ci sono nella tua famiglia?”

Lo scrittore si era messo a ridere e si era versato mezzo dito di GodFathers nel bicchiere. Annette allora gli aveva raccontato per filo e per segno quello che aveva visto e lui aveva iniziato a sfogliare il suo moleskine, mettendole davanti agli occhi la pagina con le annotazioni di quella mattina al cimitero degli slavi.

Lesse i nomi di tutti quelli sulla cui tomba aveva posato un fiore.

Miroslav Pandev, Borislav Ganesh...Levan Mecinović...Irina Ibraimova...

Ancora le sfuggiva, tuttavia, il senso di quella lista.

“Sono nomi...” aveva sogghignato l'uomo “...cognomi...date”

Poi, le aveva mostrato che molte altre pagine del suo quaderno contenevano liste di nomi.

“E ovviamente non li conosci?”

“No. Non c'è un mio solo parente o conoscente sepolto lì”

Lì, come in tutti gli altri cimiteri che ho già visitato! – aveva aggiunto subito dopo.


Miroslav Kokonazakis era un ladro di nomi.

Di nomi e cognomi di morti.

Li usava per i suoi racconti brevi, spesso dava ad uno il cognome di un altro e li rendeva protagonisti o comparse nelle storie che inventava.

“Perché lo fai?”

“Perché no?!” aveva esclamato lui.

Dopo altri sorsi di wiskhey, la voce dell'uomo si era fatta più roca e al tempo stesso eccitata, come se stesse per esporre alla donna l'idea più geniale e originale che avesse mai avuto. Non importava se altri scrittori prima di lui avevano adottato lo stesso criterio per battezzare i proprii personaggi. L'unica cosa che contava era che lui, con le sue storie, riuscisse a concedere una seconda chance a chi non poteva più averne.

Quell'idea gli era venuta leggendo Il guardiano del frutteto di Cormac McCarthy. Amava annotare sul suo moleskine alcuni passi, a suo avviso supremi, degli autori che leggeva e così aveva declamato quel pezzo ad Annette:

"Sera. I morti custoditi nella crosta terrestre che girano ogni giorno la lenta ruota del tempo, in pace, tra le eclissi, gli asteroidi, le polverose stelle nuove, con le ossa chiazzate di terra e le cellule del midollo che si trasformano in fragile pietra, le dita intrecciate alle radici, uniti a Toth ed Agamennone, ai semi e alle cose non nate"

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“Queste persone tornano a vivere nei miei racconti...vivono altre storie, magari in altri paesi, incontrano altri uomini, altre donne...”

Come Aegle! - aveva pensato lei – Come Ágota!


Passarono l'intero pomeriggio a entusiasmarsi per tutto quello che questo significava. Un ragazzo giovane e senza amici, morto in tenera età, poteva diventare uno scaltro broker di borsa. Una casalinga annoiata rinasceva diva del burlesque. Un professore di Estimo capeggiava una rivolta di minatori.

Vagando per i cimiteri della città, Miroslav mescolava astrusi concetti di fisiognomica e metempsicosi e restava per minuti interminabili a fissare il prescelto in foto e ad immaginare cosa sarebbe potuto essere e cosa avrebbe potuto fare nell'universo parallelo dei suoi racconti.

Era come se i sepolcri sotto la crosta terrestre altro non fossero che porte, non tristi e macabri contenitori di spoglie putrefatte ma varchi e passaggi verso altri mondi. Dentro il moleskine di Miros quei volti, quei nomi diventavano, di colpo, storie.
Storie che continuavano, come un fresco soffio di vento sulla soglia tra l'uno e l'altro universo.


“E i nomi che hai annotato stamattina...che fine faranno?” aveva chiesto la ragazza.

“Da un po' di mesi sto scrivendo il mio primo romanzo...Basta racconti brevi...voglio provarmi in qualcosa di più impegnativo...Ho già in mente il titolo, Il circo errante dell'equilibrio...è una storia di un'improvvisata compagnia circense che fugge da un paese in guerra e gira mezza Europa, nel tentativo di ricongiungersi con le carovane di un altro circo...Mi servivano nomi dell'Europa dell'Est, per questo stamattina sono andato in quel quartiere abitato da molti slavi...Immaginavo che anche loro avessero i loro morti...”

Ad Annette era balenata davanti agli occhi la faccia di quel signore con i baffetti alla sparviera e il cappello nero. Aveva afferrato il moleskine e rintracciato il suo nome nella lista: Miroslav Pandev, detto Mirza.

“Che dici...gli facciamo fare il lanciatore di coltelli a questo signore?”

“Mi piace...ma avrebbe bisogno di un bersaglio...” aveva suggerito lei, inclinando la visuale sugli altri nomi “Che ne dici di Irina Ibraimova?”

“Si può fare...”


Dal momento che erano in vena di complici confidenze - e visto che la ragazza pareva fissare con insistenza la nuova collocazione di Ágota nella libreria – Miros le disse che quelli erano i suoi tavoli.

“Non capisco” aveva mugugnato arricciando gli occhi.

“Il criterio con cui scelgo come disporli...Immagina di dover dare un ricevimento, una cena elegante e unica in cui per una sola volta si incontrassero tutti gli scrittori e i poeti di tutti i tempi...”

“Avresti il problema di come comporre i tavoli!” aveva aggiunto lei.

“Già...Con chi faresti sedere la tua Ágota, chi metteresti accanto a Goethe? Non sarebbe inopportuno far condividere lo stesso banchetto ad Irvine Welsh e Giacomo Leopardi?”

Trascorsero il resto del pomeriggio scartando un altro paio di parigine e divertendosi ad immaginare alcune possibili combinazioni in quell'assurdo gioco dei tavoli.


Fu solo qualche settimana più tardi, però, quando il custode le chiese se avesse voglia di unire le loro librerie, che Annette capì di essere felice [...].

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