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L'Aleph

la lista

 ...vidi grappoli, neve, tabacco, vene di metallo, vapor d'acqua,
vidi convessi deserti equatoriali e ciascuno dei loro granelli di sabbia...”
J.L.Borges - L'Aleph

"...no time, no space, another race of vibrations..."
F.Battiato, No time No space


Dovreste farlo anche voi.
Provateci.
Quando non dormite, quando l'afa sa lasciare di voi solo sindoni profane sulle lenzuola dell'alba.
Fatelo. Prendete una penna (stilografica), un blocco di fogli bianchi immacolati come il culo di una suora (io ho un moleskine, si sa, ma potrebbe andare bene qualsiasi altra superficie avorio).
Fatelo. Sceglietevi l'angolo più “ispirato” di casa vostra. Non importa se abitate in uno squallido 30 metri quadri in un quartiere espressivo come un vecchio telefunken, non importa.
Iniziate a scrivere.
Una frase, una alla volta. Non importano i verbi o la compiutezza del loro senso.
Chiudete gli occhi e pensate a qualcosa. Per aiutarvi potreste scrivere di qualcosa che conoscete bene: un colore, una situazione, un odore...
Scrivete “giallo”...”la commessa dell'In's ha tette immense”...
Fate la vostra lista, ma fatela a ritroso e – soprattutto – non andate mai oltre le 8 parole.
C'è un verso in una poesia di Borges (La lluvia, la pioggia) che dice:

“...mio padre che torna e non è morto”

Mi sono chiesto spesso perché quelle 8 lettere sono perfette ed è inutile dire che forse – se lo sono – è perché sintetizzano l'universo, come si può levigare un sasso fino alla radice.

Io ho iniziato il mio gioco stupido, stanotte. Ho fatto una lista.
Ho cercato di “ricordare”. I posti, gli angoli, i visi, le persone.
E mi ha preso allo stomaco quella che Milan Kundera chiama Nostalgia, il "dolore per il ritorno".
(Ri)tornare alla faccia di una zia che viveva tra galline e amaretti...a un gilet fiorato di pessimo gusto...al silenzio quando batti un rigore...al mio mare verde...al vento dei balcani...al sapore dei calzoni il giorno prima che inizi l'autunno...ad Annette...all'etichetta lisa di un deodorante al vetiver...a un mio compagno di banco, il primo giorno di scuola, che non capivo se fosse il bidello in incognito...

Un dolore che non è cattivo, tornare.
Come l'uomo di cui parlava il Cieco, potendo disegnare, censire, enumerare tutti gli angoli del mondo, i mari, le strade, i paesi, i fossi, i bordelli, le chiese, le facce oblunghe, i culi e gli dei che ho potuto incontrare, alla fine non mi ritroverei che dinanzi a un labirinto che disegna la sagoma del mio volto.


Dovreste farlo anche voi.
Trovare il vostro
Aleph.
La prima (e sola) lettera del vostro personalissimo alfabeto.
Il posto “dentro” di voi che contiene tutte le cose che sono state “fuori” di voi e che – incontrandole - avete permesso che vi abitassero.
“Tornare”. Risalire all'immagine primordiale.
E se mai lo farete, state attenti a non creare un diario: a meno che non vi chiamiate Byron, o Garibaldi, i posteri non potranno che trovarlo noioso.
 
Conservate il vostro Aleph in un posto sicuro.
Pensatelo come la prima cosa che resterà dopo di voi.
Abbiatene cura, pettinatelo.
Ogni giorno, appena potete, tornate sulle singole frasi, levigatele finché non siano perfette.

E poi, fermatevi.
Smettete di “tornare” e fuggite in avanti.
Fissate idioti la vostra grafia.
Sperate che vi sembri bella.

Guardatela bene.
Quella è la vostra Storia.

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partiti democratici (3) - climi d'opinione

la musica oggi è "refrigerio"

Vignetta democratica 3

Eccola...Da guardare dritta in faccia, l'estate 2007.
Pare che il punto più caldo dello stivale sia nel mezzo. D'altronde, si sa, il caldo sta sempre nel mezzo.
E a Pescara ci sono 40 gradi.
Sulle lande adriatiche schiere di autoctoni con le infradito Hawaianas brindano alla news con happy hour acquatici a base di Pecore&Champagne Veuve Clicquot.
Si narra che i gabbiani si squaglino in volo e che ieri una bagnante si sia bagnata a tal punto da evaporare al sole, lasciando a terra solo una pozzanghera di Ambra Solaire diluita in acqua. L'ha riconosciuta l'ex ragazzo per via del filo interdentale che utilizzava come perizoma.
............................................................
Qui a Roma, invece, scene di folle ordinarietà (
impossibile non pensare alla fronte pralinata di Michael Douglas in "Falling Down").
La vita assume le fattezze di una corsa da un locale climatizzato all'altro. Diventa una sorta di intervallo tra un condizionatore e una doccia.
I vecchietti vagano come comparse d'un film di Romero tra gli scaffali dei supermercati.
Non devono comprare un cazzo (vista la loro pensione), ma restano a fissare attoniti le etichette dei detersivi (tanto per guadagnare un po' di tempo) e non tornare a rischiare l'infarto sull'asfalto o in un 30 metri quadri di borgata.
Intanto, i romani (idealtipo weberiano dell'italiota) se ne stanno chiusi e "attuppati" in tangenziale, come biglie nei giochini dei bar, uno per macchina...
Li guardo...UNO (e solo UNO) per macchina. Li vedo messaggiare con frenesia calcolata, diagnosticando a mogli/fidanzate/clienti le ore che impiegheranno per percorrere 1 chilometro.
Non credo che a Milano avvenga diversamente.
A Napoli è il contrario, in uno slancio estremo di tutela ambientale i cittadini - a partire dai giovanissimi - vanno in 3 in motorino. 
Nella Capitale, solo i più socialisti sono in coppia, ma ognuno parla al cellulare con qualcun'altro chiuso in un'altra automobile qualche ingorgo più in là.
Se vedi una macchina con 3 o 4 persone puoi stare certo che sono suore tirchie (o famiglie di calabresi che portano dosi di 'nduja ai figliocci universitari).  
Sopravviviamo in città in cui anche il più insignificante dei bambinetti pariolini è munito di automobilina e di un ridicolo taglio di capelli alla Oasis.

Ci sono 2 emergenze in questi giorni:
l'acqua e il sangue.
Sprechiamo la prima, ci teniamo tutto per noi il secondo.
E' questa la cifra dell'egoismo che ci porta a pensare che ognuno di noi sia un mondo che si basta da solo. Che potrà sempre vivere in questa abbondanza, chiuso nella sua scatoletta come un tonno con l'I-Pod.

Non esiste sviluppo sostenibile. Nessuno di noi chiederebbe a un vecchio malato di reggere sulle sue spalle cinquanta giovani sempre più robusti.
L'unica soluzione è la dismissione. De-svilupparsi, più che progredire, tra(n)sgredire la nostra natura di animali al tramonto. 

A proposito di gente che "si fa i cazzi suoi" a discapito del prossimo:
mi diceva Lester Galloway che è tornato con onore a servire il patrio suolo quel senatore cinese che qualche mese fa si era dovuto dimettere perchè aveva sfruttato un'ambulanza pubblica per superare un ingorgo e raggiungere in tempo lo studio televisivo in cui sarebbe stato protagonista di una memorabile intervista.
L'ancora gagliardo servitore dello Stato sostiene oggi di tornare in politica perchè in questi mesi ha ricevuto migliaia di richieste (e di sms) da parte di imploranti cittadini elettori.

Meraviglie del Progresso e della Tecnologia più evoluta!
Il cerchio si chiude sempre.
Ecco cosa avevano da messaggiare tutti quegli idioti in tangenziale!

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Le albe di Kappa (kacca annessa). Fenomenologia di certi bloggers.

la musica è sempre "testarda"
il sito web della settimana è: MATEO

alba


Il mio amico Lester Galloway dice che i blog sono tutte cagate.

“Che bisogno c'è di tutta questa gente che manco conosco che mi vomita addosso le sue impressioni sul mondo, le sue profezie autopoietiche sul futuro, l'ultimo film visto a un rassegna radicalchic o – nella peggiore delle ipotesi – bagagli di autocommiserazione postuma...”

Già, che bisogno c'è?

Parliamo - Lester ed io - di blog come autoreferenzialità. Di forum, di mediazioni, dell'inutile “parlarsi addosso” di questa generazione che ha trovato la sua parolina magica: BLOG!
Io sostengo che la Blogosfera non salverà il mondo, e dio ce ne scampi (se almeno esiste).
Rispondo pure che è un bene che ci siano, i blog.
E' certo che non vanno presi come semplice sapere enciclopedico di questo mondo; tuttavia essi accrescono ed arricchiscono il “vociare globale” che ormai è rintracciabile solo on line.
Dico che mi piace l'idea che siano l'unico modo per essere medium di sé stessi e siccome su questo pianeta i “sé stessi” sono tanti è anche inevitabile che la Blogosfera appaia come un bordello inaudito di link, citazioni, approfondimenti et cetera et cetera et cetera ...
E dico pure che è normale e comprensibile che i cervelli abituati all'indottrinamento eterodiretto istituzionale storcano il sottostante naso dinanzi alla possibilità di (non) imparare qualcosa (almeno) dai i politici ruspanti. 
I blog sono conversazioni, se fatti bene. Monologhi se sacrificati all'altarino dell'essere on line, hic et nunc, ma in tal caso sono solo una maledizione per i loro estensori, perchè li costringono all'insana schiavitù di vivere refreshando pagine per vedere quanti e quali commenti si è ricevuti sull'ultimo (inestimabile) post. I blog sono finestre: "squarci che danno su un'altra parte", avrebbe detto Ferdinando Pessoa.
albe del kappa
A me, ad esempio, piace guardare il blog di K.
Niente di che. Uno “a progetto” come me. Che si sveglia alle 4 di ogni sacrosanta mattina, da qui alla scadenza trimestrale del suo contratto con Radio Rai. Uno che la mattina percorre strade che sanno ancora di caffè e dentrificio.
Kappo ha avuto un'idea.
Scatta una foto al giorno col telefonino.
Poi le posta sul blog, le chiama “Le albe del Kappa”.
A me piacciono, i suoi post, perché parlano di un mondo che già vive mentre io ancora sonnecchio (gli hard director della mia razza sono così: il mondo prima delle 16 è solo una ridicola espressione onirica).
I blog sono complessità, unicità, storie.
Nessuno ci obbliga a leggerli.

E fondamentalmente ha ragione Darkseal quando dice che tutti vogliono scrivere (e comunicare qualcosa/stronzate): nessuno leggere.
Io sono uno di quelli, ad esempio.
cacca Il bello del “privato che si fa pubblico” è che è sempre così "pubblico" da essere "privato" di ogni sua scoreggia.
A questa ragazza qui a destra, che è una strafiga e che farebbe voltare qualsiasi uomo per strada, capita di farsela sotto in diretta televisiva.
Forse YouTube a quest'ora avrà già provveduto a rimuoverne la testimonianza.
I blog sono meno di questo: riflettori "da camera", sotto i quali ci aggiustiamo la chioma ed evitiamo di esporre le budella del nostro essere.

Rispetto a una telecamera che ci scruta, nei blog, almeno, questo rapporto duale (tra pubblico e privato) è sempre mediato.
Ognuno decide quale immagine/pensiero far trasparire.
In definitiva, una menzogna (che forse leggeremo e commenteremo solo noi).
Una boiata recitata da milioni di cervelli più o meno valenti (?).
Apparire un istante dopo la defecatio sine qua non...

Welcome to the future, myladies...
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