HomeSkip Navigation LinksHOME PAGE » fino a qui tutto bene
Le vite per gli altri
morire in pace - dedicato ad Eluana Englaro
Eluana Englaro era una bellissima ragazza di vent'anni.
Nel 1991, un anno prima che un tragico incidente stradale la relegasse in uno stato vegetativo permanente, in occasione di una visita ospedaliera ad un suo amico ricoverato in coma profondo, aveva appreso in prima persona cosa significasse il termine “accanimento terapeutico”.

Quel giorno stesso, fortemente segnata da quel fatto, aveva espresso ai suoi genitori la volontà – qualora le fosse successo qualcosa di simile – di non insistere con i protocolli di rianimazione. Diceva che provava orrore ad essere invasa – in tutto e per tutto – da macchine e mani altrui. Un anno dopo sarebbe toccato a lei entrare nel limbo indefinito del coma: la sua macchina sbandò sul ghiaccio e si schiantò contro un muro. Se quell'incidente fosse successo 50 anni prima, Eluana sarebbe morta immediatamente. Nessun tubicino, nessun macchinario sarebbe riuscito a tenerla in vita e ad alimentarla.


Di fatto Eluana non può essere definita “morta” perché, anziché l'intero encefalo, l'incidente le ha lesionato “solo” la corteccia, cioè la parte dove vengono elaborati pensieri, consapevolezza, sentimenti, relazioni. Può respirare, perché la scienza - con i suoi sacrosanti progressi - riesce oggi a mantenerti in uno stato vegetativo, ma non può essere una “persona”, intesa come un insieme di emozioni e stati di coscienza.

Anche i gerani respirano, qualsiasi organismo unicellulare (un'ameba ad esempio) sa mantenersi in vita. Non respirano pure i cuccioli di foca sterminati ogni anno dai cacciatori di pellicce, senza che nessuno degli strenui difensori integralisti delle vite altrui si scandalizzi contro multinazionali e governi?!

Cos'è che distingue l'essere umano da una zanzara, se non la capacità di essere più di una semplice carcassa materiale, che la medicina può trasformare in uno zombie, senza presente e senza futuro?!

"Eluana, per noi, è morta il 18 gennaio 1992” ha dichiarato Beppino Englaro, il padre e tutore della ragazza. Da quel giorno sono trascorsi più di 16 anni e il corpo della ragazza è stato costretto ad una vita biologica imposta dai protocolli, dalle leggi dei burocrati e dall'ipocrita buon senso delle gerarchie religiose. Da chi ogni giorno spara sentenze su quel confine sacro che appartiene solo al libero arbitrio dell'individuo: dalle proprie inclinazioni sessuali, al destino del proprio seme, al frutto del proprio grembo, all'esito imprevedibile della propria esistenza.

E poi, occorre mettersi d'accordo: se la Chiesa da una parte sostiene che la scienza non deve invadere e stravolgere la vita umana (vedi le sperimentazioni sugli embrioni o la posizione assunta sulle pratiche abortive e contraccettive), come può - al tempo stesso - sostenere che una vita debba essere tenuta in stato vegetativo da un macchinario?

Si può morire in ogni istante, per i motivi più stupidi. Non conosco le statistiche ma con approssimazione si potrebbe affermare che – ad eccezione dei suicidi - nel 99% dei casi chi muore non vorrebbe. Insomma c'è una Volontà o una Casualità suprema che decide per noi: terminato questo articolo, io potrei afferrare una delle pesche che mi ammiccano dalla cucina e strozzarmi con un noccio. Chiunque potrebbe scivolare, battere la testa o essere investito. Pensiamo sempre alla nostra vita come ad un enorme epopea, voluminosa come un libro di Tolstoj: poi, a volte, capita di morire a vent'anni e di non poter neanche percepire tutto quel brusio di parole, sermoni e sentenze in cui si infervorano media, burocrati e moralisti.    

Il diritto a morire in pace dovrebbe andare di pari passo con il dovere (morale) di tacere, di rispettare il dolore e le sofferenze altrui.

Qualcuno una volta ha detto: “non avendo chiesto a nessuno di venire a questo mondo, vorrei essere io in grado di decidere se e come uscirne”. 


Link permanente | commenta questo post | leggi tutti i Commenti (0)
le parole sono importanti
Link permanente | commenta questo post | leggi tutti i Commenti (0)
Luilei e il suo cuore a transistor


particolari
In attesa della muta definitiva - un intervento di penectomia e successiva vaginoplastica - Josè Renato Correia Do Nascimento, detto Renè, stava gradualmente appendendo i preservativi al chiodo e nel giro di un annetto avrebbe smesso di allietare - tra gli anfratti delle pinetine rivierasche - preti, scapoli e padri di famiglia.

Finché non sarà definitivamente donna, Aldo lo chiama Luilei. A volte, si perde con occhi sognanti e sospira “il mio caro dolce cuore a transistor”. Dice che quell'essere in via di definizione ha il potere ineguagliato di stimolare i suo campi elettrici assopiti, di aprire come un interruttore vie di fuga alla sua anima bislacca.


E poi, Cro', ricordati sempre che nessuna donna al mondo può farti un pompino come una donna che è stata uomo!” gli aveva confidato un sera.

Luilei e Aldo si erano conosciuti al termine di una rissa sulla spiaggia del Sestante, quando il trans malconcio aveva trovato riparo e assistenza tra le braccia e nell'appartamento del più grande pusher di polvere d'angelo del reame.

Aldo era in città già da un po' di mesi ed era riuscito a fare l'ambito salto di carriera: da misero spingitore di fumo prima, a ennesimo piazzatore di pasticche poi, fino ad assurgere a Miglior Primo Grossista e Gran Pusher Supremo per le partite di chetamina e polvere d'angelo.

Gli Sloveni si fidavano di lui. Non si faceva, non era un tossico e provava la roba solo fuori dagli orari di lavoro. Pagava regolarmente le forniture e aveva trovato il modo di farla entrare in comode bottigliette d'acqua all'interno dei locali. Assisteva come un Caronte i suoi clienti, mentre sorvolavano la città a bordo di tappeti volanti o correvano a riva verso mirabilanti mongolfiere marine. Quando eri lì lì per dissociarti dal tuo corpo e vedere anima e carne dividersi come due parti di una mela, potevi giurarci che Gugliemo Tell era lì a controllare il tuo volo, come una hostess discreta o una nonna che ti tiene la fronte quando la temperatura sale oltre i trentotto gradi.


La sua copertura formale era un impiego da telefonista in una società che offriva servizi di call center a qualsiasi altra ditta avesse qualcosa da vendere e nessun potenziale acquirente.

A volte la voce di Aldo rombava pure nel nostro telefono. Pa' lo riconosceva, chiudeva e tornava a tavola dicendo “È sempre quel coglione del tuo amico. Oggi voleva vendermi una fresatrice portatile”.


Non gli importava se non riusciva  a vendere nulla.  Sapeva che tutto quello che aveva o che avrebbe mai avuto nella vita sarebbe venuto dalle chetamine, non certo dalla vendita di un clistere polifunzionale in ebano ad un vecchio cagasotto eccentrico. 

Al Sestante era più noto di un fantasma che nessuno aveva mai visto. Bastava sussurrare Angel in pista per trovare qualche suo scagnozzo che nel giro di pochi minuti ti avrebbe passato un'innocua bottiglietta d'acqua.  

Quel locale un giorno lo avrebbe rilevato – ne era convinto. Adorava i gazebo stesi sulla sabbia, i cuscini arabeggianti, i vassoi di frutta e super alcolici sui quali si posavano vellutate mani di cubiste e giovani carni abbronzate.


Quando Luilei sarebbe diventata solo Lei, lui si sarebbe perso tra le sue cosce e avrebbe chiesto finalmente la sua mano – e anche tutto il resto.

Il Sestante, i gazebo, i cuscini, la musica...e tutto quello che ancora rimaneva cocciutamente a scintillargli attorno.


Link permanente | commenta questo post | leggi tutti i Commenti (0)
...
scorcio
Link permanente | commenta questo post | leggi tutti i Commenti (0)
cieli di roma
Cieli di Roma
Link permanente | commenta questo post | leggi tutti i Commenti (0)